Ostaggi Selvaggi

Antonella Ricci e Vinod Sookar, i Romeo e Giulietta della cucina

ALBERTO SELVAGGI

Due talenti uniti in amore e gastronomia fra Ceglie Messapica e Mauritius ambasciatori del gusto mediterraneo

Ciao Antonella, scusa se ti disturbo. Devo fare la carne in brodo per la seconda volta nella vita, la prima mi è venuta una broda terrificante color bisonte.
«Ecco, allora Alberto, è semplice: nella pentola devi prima fare sobbollire… poi con gli aromi… elimina le impurità dalla superficie, sono due ore a fuoco basso eh?, poi dipende da quale carne ti hanno dato, è a pezzi o intera?».

Boh, dei pezzi, mista, pollo e vitello o manzo. Sono capra a cucinare. Perciò sto facendo la mia «Prova del cuoco» con te, Antonella Ricci da Ceglie Messapica, masterchef riconosciuta, con il marito e collega Vinod Sookar mauriziano. Da MasterChef alla Mostra del Cinema di Venezia, da Gambero Rosso Channel ad Antonella Clerici sul primo canale Rai.
«Non mi sento una star, per quanto adori la Clerici e le sia grata per l’opportunità che mi ha offerto richiamandomi anche in questa stagione al suo fianco in È sempre mezzogiorno. Gli chef televisivi sono persone semplici che ogni giorno imparano. E credo che proprio il lavoro umile ai fornelli abbia colpito il premier Giuseppe Conte, che dopo aver mangiato da noi, anche quest’anno ha chiesto di tornare».

Io trovo la vostra divinizzazione mediatica detestabile, anche se giustificata dal fatto che, evaporate ideologie, fedi, politica e arte, effettivamente oltre al cibo resta poco altro.
«Sì è un po’ esagerato, tuttavia c’è anche del buono nell’elevazione dei cuochi a rockstar. La gastronomia italiana ha ottenuto finalmente uno status come in Francia o in Spagna».

Sei una nota chef in una realtà di maschi.
«Il sessismo esiste ma la cucina non dovrebbe avere sesso. Io sono stata agevolata da una tradizione familiare. Pur essendomi laureata in Scienze economiche e bancarie all’Università di Lecce, nel ristorante Al Fornello da Ricci, che oggi si chiama Antonella Ricci & Vinod Sookar, con 29 anni di Stella Michelin ininterrotta, lavoravo dalle 7 del mattino alle 2 di notte. Mio padre Angelo fondò il nostro ristorante a Ceglie Messapica assieme al fratello Stefano 54 anni fa. Mia madre Dora, figlia di ristoratori brindisini che ancora oggi, nonostante la chiusura per lockdown, ogni mattina pulisce e sistema il locale, cucinava. Cucinava nonna Rosa. Cucinava zia Maria, moglie di Stefano che poi abbandonò l’attività perché le iniziative di mio padre erano troppo d’avanguardia. Entrai nella famosa scuola di Paul Bocuse grazie al fatto che lui faceva parte dell’associazione Ristoranti del buon ricordo, era sodale di Gualtiero Marchesi, Nadia Santini e altri».

E pure a Lione il maschilismo era prassi.
«Beh, sicuramente le donne dal luminare Bocuse 27 anni fa erano gregarie. Sono stata fortunata. Studiammo duramente nuove tecniche di cucina: proliferazione batterica su vetrini, eviscerazioni e stato di conservazione di pesci vari e carni, analisi organolettica, salubrità, in quanto al cliente, oltre al gusto, va garantito anche il benessere. Una formazione decenni avanti».

Che hai trasferito in patria. La cucina pugliese come è cambiata?
«Si è contaminata, ma rimanendo sempre del territorio. Un fondamento sostenuto dalla ricchezza unica delle numerose micro-cucine regionali: già da Ceglie Messapica a Cisternino cambia perfino il modo di imbandire tavola. Dai 20-30 piatti standard siamo arrivati a una offerta ricca, proposta soprattutto dalle ultime generazioni di cuochi. Però i piatti classici restano immutati: riso patate e cozze, cicorie e fave. E l’orpello, il tocco esotico al massimo arricchiscono questi emblemi della nostra civiltà».

Quanto la gastronomia ha aiutato il turismo di massa?
«Tanto, tantissimo. La gente non viene qui soltanto per i luoghi ma anche per assaporarli. Mangiare pugliese, sposarsi alla pugliese sono brand. E a sua volta la gastronomia s’è adattata variando e puntando sullo street food che fino a ieri non esisteva o quasi».

Tu d’altronde sei antesignana delle fusioni culturali. Prima di partire per un grande evento a Mauritius, dicesti ai tuoi: «Tornerò con un marito a casa». E così fu, amen.
«Verissimo. Ero stata lasciata dal mio fidanzato che non gradiva una futura moglie troppo occupata con i fornelli. Avevo chiuso con i maschi. Ma di Vinod mi colpì la gentilezza da gentleman. Condivideva croci e delizie del mio mestiere, era uno chef specialista in cucina francese e italiana, capeggiava la brigata mauriziana con cui dovevo collaborare».

I Romeo e Giulietta del gourmet appassionato.
«Oggi abbiamo due figlie, Shamira, 20 anni, Angelica, 13, che, ahimè, non seguiranno le orme del padre e della madre. Sul terrazzino quattro gatti».

Pure io ho Dorian il gatto, al quale oggi ho offerto una ricetta fusion inscatolata: anatra con yucca, aloe e melograno. Anzi, tu che sai tutto, levami un dubbio va’: è vera ‘sta storia che un tempo i settentrionali si pappavano i gatti?
«Se è per questo li cucinavano anche dalle nostre parti. In vacanza in Sila 45 anni fa vidi perfino carnieri di topi, vomitò pure mia madre».

Lo racconto al gatto.
«Bravo. Ora ti lascio. Se hai altri dubbi di cucina non ti fare scrupoli».

Ora che faccio l’uovo al tegamino ti chiamo.
«Mi raccomando».

Bene, lord mauriziano e cuoco stellato Vinod Sookar. Ora spetta a te raccontare. Che effetto ti ha fatto trasferirti dal paradiso Mauritius alla regione dei cannibali che divorano noci reali linguacciute e polpi che ancora allungano i tentacoli?
«Il primo impatto è stato piacevole. Sono arrivato per la prima volta con Antonella negli anni 1997-1998 e poi stabilmente dal ’99 dopo il matrimonio, con festa nel nostro ristorante. Il clima estivo era simile a quello isolano. Poi però arrivò l’inverno e uscendo dal nostro trullo in mutande vidi la prima neve dal giorno in cui ero nato».

Non mi dire che anche tu come tua moglie hai una tradizione di cucina generazionale.
«No. Mia madre era sarta, papà lavorava nel ramo pulizie, cinque figli e pochi soldi per studiare. I miei decisero di investire su mio fratello Pritam Sookar e fecero bene perché è diventato uno scienziato di fama, entomologo di riferimento a Mauritius. Io non mi impegnavo, volevo lavorare e così dopo la scuola alberghiera, le pratiche, divenni chef di Le Victoria del Beachcomber Group, dove con Antonella ci siamo incontrati».

Cosa hai portato nella cucina pugliese che adesso preparate anche per asporto e catering?
«La cucina pugliese è straordinaria, talmente varia e naturale che innovarla è un errore. Offro soltanto variazioni delicate ai piatti. La cucina mauriziana ha una sua unicità, è creola, fusion, né africana né indiana. Mi sono pertanto concentrato sulla tecnologia, sui metodi di cottura delle carni, produzione di salumi speziati fatti in casa, offerte tradizionali quali la ricotta abbinata a curcuma o aromi rari».

So che hai firmato anche una birra straordinaria.
«La Grand Bay, blanche con retrogusto esotico. È il nome della spiaggia su cui giocavo da bambino, per cui negli odori ho immaginato di riprodurla qua».

A Mauritius siete protagonisti del gourmet food festival Stars in Paradis, con cene stellate.
«Sì anche. In generale, da Hannover a Parigi, da Dubai alla Tunisia ci chiamano per rappresentare, più che la Puglia, l’Italia. Siamo ambasciatori della cucina mediterranea. Adesso io e Antonella viviamo la tristezza, le difficoltà della pandemia, cercando però nuove opportunità. Per esempio le video-ricette proposte con il Consorzio Taleggio che ci ha chiamato. Le Lezioni di tecnica e cucina online (www.antonellariccivinodsookar.it)».

Dedicate anche ai giornalisti incapaci.
«Se ti interessa io e Antonella siamo docenti anche alla Scuola di Gualtiero Marchesi. Però ti devi impegnare».

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