Ha 27 anni

Da Mola a Oxford per la filosofia: la storia del ricercatore Giuseppe Colonna

Antonio Galizia

È l'unico italiano nella British postgraduate association

È pugliese, di Mola di Bari, l’unico italiano nominato nell’esecutivo della prestigiosa British Postgraduate Philosophy Association (Bppa), società internazionale di Filosofia che si occupa di organizzare eventi con apertura interdisciplinare nelle università di Regno Unito e Irlanda. In tempi di Covid, mentre molte università hanno ridotto al minimo i rapporti tra studenti, la Bppa promuove on line occasioni di confronto e sostegno intellettuale.

Tra i responsabili di questa istituzione c’è Giuseppe Colonna, 27 anni, dottorando in Filosofia antica, medievale e metafisica all’Università di Oxford, dove in qualità di tutor tiene anche lezioni ai laureandi. Oxford è una tappa di un percorso che il giovane Colonna inizia «al liceo classico a Monopoli - racconta - e proseguo iscrivendomi alla facoltà di Filosofia di Bari. Allo stesso tempo mi sono diplomato in Pianoforte al Conservatorio Piccinni e mi sono laureato con una tesi sulla musica nella Filosofia medievale. Proprio poco prima della mia seduta di laurea la mia relatrice mi informò di un nuovo master all’Università della Svizzera italiana di Lugano con un corpo docente internazionale e un’impostazione didattica molto anglosassone».

Una bella opportunità, in effetti?
«Ho vinto delle borse di studio e non ci ho pensato due volte a iscrivermi. Non mi sono sbagliato: è stata una scelta vincente».

Può descriverci le sensazioni che lei, giovane filosofo italiano, ha provato il suo primo giorno da dottorando all’Università di Oxford?
«Sono molto contento di appartenere a un’istituzione così prestigiosa che ha dato davvero tanto in ogni ambito della conoscenza umana. Ogni mattina, dopo una poco salutare full English breakfast, raggiungo la biblioteca centrale attraverso gli stretti vicoli che passano davanti agli antichi college gotici che negli anni hanno ospitato pensatori, politici, artisti e premi Nobel».

I suoi obiettivi?
«Finire il dottorato e continuare con l’insegnamento universitario, dove sarà possibile».

Com’è Oxford vista dal suo interno?
«Il merito di una tale eccellenza in tutti i campi è legato allo spirito tenacemente conservatore dei britannici. Non amano sostituire una porta, piuttosto la riparano. Il sistema didattico inglese mantiene inalterate delle strutture che si sono preservate negli anni e sono state fonte di grande successo: piccole classi, tutoraggio uno a uno con i docenti, scrittura di saggi per sviluppare capacità argomentativa su temi di ricerca di proprio interesse, presentazione e discussione in classe di propri lavori per perfezionare le capacità dialettiche e retoriche. Non è da sottovalutare anche la vita condivisa con altri studenti: se se ne trovano di intelligenti e umili, può essere fonte di grande crescita».

Come nasce la sua passione per la Filosofia medievale?
«Mi ha sempre affascinato la storia, la cultura medievale. Il Medioevo non è il periodo buio che potremmo immaginare, ma l’epoca in cui si forgia la nostra identità. Nascono istituzioni tuttora esistenti, come le banche o i Comuni, e molti oggetti della nostra vita quotidiana, come gli orologi meccanici o gli occhiali. Per quello che mi riguarda nello specifico, è l’epoca in cui nascono le prime università. Addirittura la prima in assoluto è italiana e nasce a Bologna nel 1088».

Funzionavano come adesso?
«La formazione filosofica era la base per accedere ad altri studi specialistici. Attraverso un vocabolario filosofico e le tecniche della buona argomentazione, esperti di legge erano in grado di confrontarsi con esperti di teologia e medicina. In questo modo si osservavano i problemi di varie discipline da diverse prospettive e si cresceva nella conoscenza nei diversi campi. C’era una grande capacità di confronto, anche con persone semplici: due volte l’anno, prima di Pasqua e Natale, c’erano le cosiddette “disputationes quodlibetales“, delle sedute pubbliche cui tutti potevano accedere, anche contadini, mercanti e pescatori, in cui i grandi teologi erano tenuti a rispondere alle domande più disparate. Molto diverso da oggi, quando ogni disciplina ha un proprio linguaggio tecnico che, a volte, non permette comunicazione e confronto tra studiosi e non».

Lei è anche impegnato nella Bppa. Come definirebbe questa esperienza?
«È una società internazionale composta da “graduate students” che si occupa di organizzare eventi filosofici con apertura interdisciplinare nelle università di Regno Unito e Irlanda. In tempi di Covid, mentre molte università hanno ridotto al minimo i rapporti tra studenti, noi cerchiamo di promuovere on line occasioni di confronto e sostegno intellettuale».

Come stimolare lo studente ma anche la famiglia durante l’isolamento?
«Fino a prima della pandemia saremmo stati certi di pensarci in una società futura in cui la virtualità avrebbe facilitato e modificato radicalmente la natura dei nostri rapporti umani senza implicare alcun problema. ​Questa pandemia ci ha permesso di sperimentare che lo sviluppo e l’applicazione delle nostre conquiste tecniche non sempre coincidono col default. La natura umana non cambia e la virtualità non riuscirà mai a estinguere la nostra necessità di rapporti umani, sia in ambito lavorativo che privato».

E allora che cosa dovremmo fare?
«Credo che questo sia il momento migliore per ricostruire un’etica. In primo luogo, chiederci se ci siano davvero dei valori oggettivi, ovvero cose che sono buone in sé e negative in sé. Se la risposta è sì, allora dovremmo cercare di lavorare su noi stessi per applicare questi valori nella nostra quotidianità e proporre - non imporre- questi con il nostro esempio a coloro che ci sono attorno. Se il sistema di valori da noi adottato ci renderà davvero felici, anche gli altri se ne accorgeranno e saranno attratti dal nostro esempio. Si creerebbe un circolo virtuoso in cui ciascuno individualmente sceglie di adeguarsi a un sistema di valori vincente, con la consapevolezza di fare il proprio bene».

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