lessico meridionale

La lingua di Dante e quella di Donald

Michele Mirabella

Da giorni, su ogni mezzo di comunicazione, non si parla d’altro che di Trump, appena eletto negli USA, Presidente. Per ragioni finanziarie, economiche, politiche e di costume

Da giorni, su ogni mezzo di comunicazione, non si parla d’altro che di Trump, appena eletto negli USA, Presidente. Per ragioni finanziarie, economiche, politiche e di costume. E lui non cessa di fomentare le dicerie sul suo conto. Dato l’argomento che affronterò, trovo utile precisare che «cessa» non è il femminile di «cesso», inteso come strumento accogliente delle finali funzioni igieniche di un apposito organo degli esseri umani. Diciamo, le funzioni finali.

Ma il Presidente a quell’organo che, nella lingua inglese, si dice «ass», ha fatto esplicita citazione in una delle numerose allocuzioni e, dunque, potrei essere frainteso. Non sono riuscito a decifrare il suono del lemma pronunciato dal Presidente, ma potrebbe essere anche «bum», «butt» o «buns». L’audio era disturbato. La traduzione vale per tutte le varianti: i media, spietati, hanno implacabilmente ribadito in tutte le lingue che ha pronunciato una parola, quella che, nella lingua italiana, chiamiamo «culo».

Ho ricordato che, in queste pagine, ebbi già modo, anni fa, di scriverne per ragioni di costume che hanno generato la polisemia della parola che assume innumerevoli funzioni. Invito i lettori a condividere la lettura di quell’archetipo che ripropongo con opportuni e tempestivi aggiustamenti. Il Presidente degli USA ha dichiarato che, in molti, hanno tentato di «leccargli il culo». Non precisa in quanti ci siano riusciti. Nonostante sia convinto che il significato per Trump sia solo il più corrivo, mi piace suggerire alcune note semantiche che potrebbero essergli utili. Se ha, nella sua corte, qualcuno che parli la lingua italiana. Ma deve essere proprio bravo.

Culo, m. volg. Sedere. Di certe cose come bicchieri, paioli, fiaschi, bocce e simili, il fondo, la parte su cui posano. Tutto qui, nel «Dizionario della lingua italiana» di Policarpo Petrocchi, (1898) a proposito di questa parola che è, oggi, così di moda. Sospetto che si debba, infatti, reperire come primo, il significato di sedere stigmatizzato con quel volg. d’avvertenza. Forse la prima edizione s’arroccava, pudicamente lesinando, nell’attribuire al lemma solo i significati oggi del tutto accessori e idiomatici che rinviano ai recipienti. Ma era tanto tempo fa.

Oggi ho l’opportunità di scrutinare dizionari e repertori documentati e moderni. Spigolo, per far prima, da uno di questi, l’ottimo «Zingarelli».

Culo. (lat. Culu (m), di origine indoeur.; sec. XIII) s.m. 1 (pop.) Sedere, deretano.

L’estensore si prodiga cominciando col garantire l’ascendenza etimologica latina e, nell’andar per radici, addirittura indoeuropea, poi assevera il significato, plebeo finché si vuole, ma accertato e comune che tutti conosciamo. Bando, quindi, alle ipocrisie pudibonde d’un tempo atte solo a scoraggiare le curiosità adolescenziali del primo sfogliare del vocabolario nelle scuole ginnasiali. Chi non ammette di aver, come prime parole, cercato proprio quelle nel vocabolario appena avuto in eredità dai fratelli maggiori (c’erano, un tempo), mente e ha la faccia «come il culo».

Il nostro vocabolario moderno e schietto pone rimedio e, prima d’abbarbicarsi a usi idiomatici, a traslati e a metonimie, squaderna subito un’imbarazzante fraseologia molto screanzata: «Avere culo, avere un gran culo» che, come sanno oggi anche i bambini, sta per «avere fortuna, molta fortuna». Il vocabolario non informa sull’origine di questa bizzarra convinzione che la misura di quella parte del corpo sia direttamente proporzionale alla benevolenza della dea bendata per cui i suoi gesti prodighi diventano, nell’uso comune, puntualmente registrato dallo Zanichelli, «colpi di culo».

Con dottorale sincerità il lessicografo registra l’ampia polisemia del lemma e ci informa che «culo di pietra» è un modo di riconoscere lo sbadigliante burocrate. Instancabili lavoratori d’altre corporazioni e professioni, invece di star seduti sul «c…» se lo «fanno il c…» se faticano molto e se fanno tutto da soli, perché, altrimenti, le cose si complicano e i rischi pure. E la vecchia faccia di bronzo non esiste più perché adesso il suo viso ricorda il pallore tondeggiante delle natiche e viene additata come «faccia di culo» per la sua arroganza e tracotanza.

Lo so, lettori cari, state aspettando di sapere se il notarile compendio del lessico annoveri modi di dire diffusi, conosciutissimi e assai praticati che consistono in inviti ad andare a far in…, sollecitazioni a prendersela-lo in…, nel cisalpino dar via il, eccetera. Saggiamente, il vocabolario avverte che si tratta di usi volgari e scurrili, ma li annovera. E come! Qualcuno informi Trump che in Italia siamo attrezzati. Può scegliere: «Una botta di culo / Culo di pietra / Avere culo / Culo e camicia / Leccaculo / Bucio di culo / Faccia di culo / Al cul non si comanda / Culo parlante / Culo rotto».

Trump si serva pure, ma non ci faccia pagare il dazio per l’esportazione. Potrà sempre dire che ha letto Dante il quale scrisse «ed elliavea del cul fatto trombetta» [Divina Commedia, Inferno- Canto XXI]

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