lessico meridionale
A Bari c’era un teatro e bruciò. E poi è rinato
Il sindaco saprà scegliere la guida migliore per un «tesoro» come lo è il Petruzzelli: attenzione, «Vidua Vidua»!
A Bari, c’era un teatro. Bruciò. È rinato. E funziona. E continuerà ad esigere una guida saggia ed esperta. Vito Leccese, Sindaco di Bari, ha deciso saggiamente e temporeggia per avere il tempo di dotarlo di una buona guida d’arte. E di scegliere professionisti e artisti di vaglia.
Il Teatro Petruzzelli prese il nome di chi lo costruì nel 1898. Nel 1903 il sipario si aprì su Gli Ugonotti di Meyerbeer. Anzi, due i sipari: quello che calava dall’alto e quello rosso di velluto con la sontuosa passamaneria dorata. l primo era ornato d’un dipinto di Armenise che rappresentava la liberazione di Bari dall’assedio saraceno portata dalle armi navali veneziane del Doge Pietro Orseolo II. L’incursione, nell’anno del Signore 1002, si risolse in una trattativa con gli infedeli, garantiti dalla generosità della Serenissima che si disse pronta a pagare i debiti forse contratti dai Baresi col Turco. La città affrancata riprese le sue lucrose attività mercantili e ringraziò i Veneziani con la ricostruzione del blando fatto d’arme, nella ricorrenza dell’Ascensione, quando la padrona dell’Adriatico e di pelaghi lontani soleva sposarsi col mare, col mare femmina, mare da dominare. La festa della «Vidua, vidua!» (Vedila, vedila, Venezia in armi che arriva!)
L’irruenza veneziana liberò, dunque, la Puglia dall’invadenza concorrenziale degli «infedeli» festeggiando l’unione tra mare e uomini di cui la Repubblica poteva dirsi magistra. Tutto questo raffigurava il sipario di Armenise prima d’esser combusto da altri infedeli, ben più infami.
Non c’è nulla a Bari di cui i Baresi non debbano dir grazie al mare alleato e compagno, complice e testimone, amico e mediatore. E i Petruzzelli lo sapevano bene: per questo, forse, sognatori caparbi e irriducibili, lo vollero lì il Teatro, sulla riva del mare. A quel tempo questa era nitida e sgombra, bella e inerme sotto le onde che le sfuriate di maestrale percorrevano liberamente. Il teatro, prima bianco e superbo, poi estrosamente rosso, troneggiò solitario a sfidare Eolo coi suoi venti e a dialogare con i marosi cantando arie di melodramma, solfeggiando storie di soprani innamorate, baritoni gelosi e di tenori impudenti e vagheggini. Nulla intorno a lui, solo pietre e piazza e onde. La città applaudiva rispettosa questa specie d’offerta ad Oceano che la città dell’uomo sembrava elargire.
La solitudine di quel fortilizio dell’arte simboleggiò, in un ‘900 che vagiva, il rapporto di Bari con il mare, un dialogo mormorante, una confidenza affabile che assegnava ad ogni protagonista la sua parte in commedia o dramma.
Da giovanissimo, fui petulante novizio dell’arte teatrale e ottenni dal cordiale maestro Vitale di seguire le prove degli allestimenti scenici e, in questi, mi capitò di sentire ordinare dal magnifico artificiere delle scene e delle luci, il maestro Ruggero, «Mare!», «Terra». Imperiosamente, come si richiede dalla mansione. Erano parole che indicavano la direzione verso la quale andavano orientati un fondale, la quinta o un tramezzo. Al posto di dire «destra» o «sinistra», ordini opinabili data la diversa posizione degli interlocutori, si diceva «mare e terra», punti dell’orizzonte ben noti ai macchinisti baresi. Si aggiunga che un artificio scenico per chiudere gli «sfori» si chiama «cielo» e a me, curioso apprendista, parve l’ennesima prova che il teatro fosse lo spaccato del mondo: mare, terra, cielo.
Il fuoco era evocato solo dalla messa delle luci, come si dice, «a fuoco». Ma, poi il fuoco venne, non come arnese artistico di quel piccolo universo dell’arte, venne distruggitore e infame. Ma chi brucia i Teatri? Criminali che hanno capito prima dei cittadini, e meglio, quanto i cittadini sembrano non voler sapere: che i Teatri sono di tutta la comunità umana che dovrebbe disegnare la Città dell’Uomo. E questa ha bisogno dei Teatri perché sulle loro scene si articola il progetto umanistico dei Valori, si dispiegano e comprendono le parole della vita e della ragione. Nei Teatri, così come nelle biblioteche, nei musei e dovunque si manifesti la forza della ragione e della vita, appunto. Il crimine contro l’uomo teme i Teatri, anzi li odia e li disprezza e li butta sul terreno dei suoi affari perché danno voce all’arte e alle idee. E li incendia, il crimine. Perché, così, brucia il gonfalone della città. E questi roghi, sì, somigliano tutti.
Ricordate quello della Fenice? «Il fuoco è sempre uguale», pensai, quando vidi le immagini di quel teatro che ardeva e ripensavo alle sbrecciate e quasi furtive, mute figure del mio Petruzzelli che andava a morire in quel braciere sconcio che per tanto tempo è stato lì come un monito ossessivo. Questa coincidenza di tizzoni accomunò ancora una volta Bari e Venezia. Peccato, non c’è più il sipario che ricorda l’alleanza tra le due città adriatiche. Ma la Fenice e il Petruzzelli vivono. Il nostro Sindaco, delibererà con saggezza, per il bene del Teatro e del, gonfalone della città. Saprà scegliere le maestranze per la sua guida. «Vidua Vidua!».