lessico meridionale
Bentornato latino, la scuola ringrazia
Il ministro ci restituisce una Biblioteca (parola greca) meravigliosa in cui troviamo, prima di tutto, la Bibbia
Dedico con sincera gratitudine questi ricordi delle scuole al Signor Ministro dell’«Istruzione e del Merito» Giuseppe Valditara il quale ha, finalmente, restituito alla scuola italiana il Latino.
La cacciata del Latino dalla scuola italiana cominciò con l’abolizione nella Scuola Media Unica con l’ipocrita (qualcuno sa ancora l’etimologia greco-latina hypocrĭta?) attenuante (poi cancellata) del renderlo opzionale (qualcuno sa ancora l’etimologia della parola?). L’abbandono del riconoscersi in quella origine storica fu alla base di un degrado inarrestabile dei valori culturali trasmessi (qualcuno sa ancora l’etimologia della parola?) alle nuove generazioni.
È un fatto che lo studio del Latino, in altri paesi mai abbandonato, ritorna opportuno. Gli è che si è colto un valore che noi, noi Italiani, avevamo come gratuita tradizione e che abbiamo ripudiato (qualcuno sa ancora l’etimologia di tutte queste parole?). Studiare il latino e, poi, il Greco non serviva solo a parlarli ma a parlare meglio l’Italiano o, puta caso, a gustare il florilegio (qualcuno sa ancora l’etimologia della parola?) della Letteratura degli antichi. Serviva e sarebbe servito a far funzionare meglio e più compitamente la mente perché la lingua latina e, prima ancora, quella greca, sono modulate e concepite, organizzate, modellate ed espresse come il funzionamento della mente.
Ricordate l’analisi logica e la sintassi? Come? No? Peccato. Spero che tra i lettori ci sia un senegalese. Ricordo che Leopold Senghor, fine intellettuale diventato Presidente del Senegal, credette utile lo studio del Latino nel suo Paese. Grazie alla memoria, signor Presidente.
Ricordi? Memorie. C’è differenza. Molte le opere che custodiscono le prove di questo.
Mi accontento di citare Marcello Veneziani: «Ricordo, lo dice la parola, è opera del cuore; la memoriaè più una facoltà intellettiva». Entrambi derivano dalla lingua del nostro passato. E ricordo l’acrobazia del professore di educazione fisica che somministrava la citazione «Mens sana in corpore sano» sempre borbottando in Latino per riscattare la sua pur nobile disciplina dalla poca attenzione che la scuola di un tempo le destinava.
Non tutti abbiamo usato palestre impeccabili. Io, per esempio, ho frequentato troppe scuole per via della mia scarsa attenzione alla «mens sana», a causa del mio essere discolo e del mio tentativo di ottenere il «corpus sanum» con giovanili passeggiate sostitutive della scuola. Mi dispiaceva rinunciare alla lezione di Educazione fisica: ricordo pertiche traballanti e cavalline scalcinate nonché mazze a forma di birillo che nessuno usava mai.
Comunque, appeso al muro, c’era il cartello che riportava con eleganti lettere anellate l’avvertimento in questione. Visto, però, che ho declinato con correttezza quel «corpore» del motto, chi legge può desumere che non era lo studio ad annoiarmi, ma certi metodi della scuola com’era fatta. Ma, poi, quando cercarono di emendarla, fecero, forse, peggio. E lo studio mi ha spinto sempre a cercare le ragioni di tutto e a non accontentarmi della «prima bottega», come ammoniva il professore di Latino spingendoci alla consultazione attenta del vocabolario.
Ed ecco che scopro chi proferì la frase e appuro che non era destinata a figurare appesa ad un muro di un’aula di ginnastica.
Fu Giovenale, poeta latino vissuto a cavallo tra il primo e il secondo secolo dopo Cristo a scrivere in lampante poesiaOrandum est, ut sitmens sana in corpore sano (Satire, X, 356.) che vuol dire letteralmente: «Questo dobbiamo chiedere nelle preghiere: una mente sana in un corpo sano». Dal contesto si capisce che il poeta invita a rivolgerci agli dei perché ci concedano qualcosa di fondamentale: un’anima forte in un corpo robusto e che ci diano la forza di sopportare le fatiche e di affrontare le malattie. Se, poi, questo ci consente anche di spiccare un bel salto in alto o di illustrarci nel lancio del giavellotto non potrà che farci piacere. La riflessione di Giovenale non credo escludesse le nostre personali attività di sostegno alle grazie erogate dalle divinità sempre benaccette dalle medesime che, più tardi, ispireranno a qualche Bertoldo di buon senso il perfetto «Aiutati che il ciel t’aiuta». A star bene, a star meglio, a guarire. Marziale, un altro poeta latino caro ai lettori più curiosi coniò questo motto: Non vivere sed valere vita est. Saggissimo. Sta per «La vita non è vivere, ma star bene» letteralmente. Il motto è più adatto al tempo nostro se reso con un’integrazione che ci fa riconoscere che «a vita non è “solo” vivere, ma star bene». Con la nostra responsabilità e la nostra prudenza che dobbiamo pensare a noi stessi, ad anima e corpo. E per dirla sempre in Latino: Faber est suaequisquefortunae. Siamo in piena politica. Traduci, lettore, non è difficile. Tradurre esercita la memoria e, quindi, fa bene alla salute.
Dedico questa massima al Signor Ministro della Scuola che ci restituisce una Biblioteca (questa parola viene dal Greco) meravigliosa in cui troviamo, prima di tutto, la Bibbia.