LECCE - «Otto ore di attesa al Pronto soccorso del Vito Fazzi senza riuscire a concludere niente. Senza neanche sapere l'esito di alcune analisi fatte appena arrivati. C'era un solo medico presente, per una giornata come il sabato e di un periodo estivo, che sicuramente è di maggiore pressione, vista l'assenza dei medici di famiglia e dei tanti turisti ancora presenti nel Salento. E poi eravamo tutti ammassati in questa sala di attesa che sembrava una bolgia infernale. Una situazione incredibile. Alla fine siamo andati via senza che nessuno visitasse mio marito e lunedì, grazie all'appoggio di alcuni amici che vivono a Lecce, siamo riusciti a trovare un medico. Dopo la visita ora stiamo andando in un centro privato per fare delle analisi sanitarie specifiche».
Marisa P. con il marito sono una coppia di turisti toscani che da anni vengono in Salento per le loro vacanze. Quasi sempre in periodi di non altissima stagione «per poter godere di più del mare, senza la calca e in maggiore tranquillità» e sabato scorso sono stati loro malgrado protagonisti di una avventura che si sarebbero volentieri risparmiati.
«Mio marito fa la chemio - racconta Marisa -. Sabato mattina l'innesto sul braccio, da dove viene fatta l'infusione, si gonfia. Molto. Ci spaventiamo, così andiamo al Fazzi per capire cosa stia succedendo. Poteva essere una trombosi. Arriviamo alle 11 e solo a mio marito fanno il tampone (strano, perché a me no, visto che ero con lui?). Poi un prelievo di sangue. Nessuno fa una anamnesi e ci dicono di aspettare in una sala di attesa enorme dove c'è di tutto: una anziana con una vistosa ferita alla testa da dove esce sangue e che trattiene a stento con un fazzolettone, una mamma con un bambino in braccio che piange dopo essere caduto e con la borsa del ghiaccio su una gamba, una donna anche lei ferita seduta su una sedia che sembra si stia addormentando, che in questi casi forse è un problema.... Abbiamo atteso otto ore, così, con emergenze di vario grado che arrivavano una dopo l'altra, senza che ai pazienti venisse garantita un minimo di privacy. Alla fine ce ne siamo andati, tanto era inutile restare».
«Il mio non è un atto di accusa contro il personale sanitario presente – sottolinea Marisa -, che sia chiaro. Si sono dimostrati tutti con una grande umanità. Ma c'era un solo medico che doveva far fronte a tutte le necessità, dai codici bianchi fino ai rossi, e questa situazione la trovo incredibile per un Pronto soccorso così importante, dove converge tantissima gente in un sabato estivo in un territorio turistico. Qui è un problema di disorganizzazione, grave, che alla fine ha dei risvolti sulla salute delle persone. Dopo 48 ore siamo riusciti a trovare una soluzione con visite private, grazie all'aiuto di amici, ma se mio marito fosse stato colto da trombosi? E se quella donna ferita si fosse addormentata per una emorragia in quella sala di attesa? Io qualche anno fa ho perso mio padre per un errore fatto al Pronto soccorso, in un ospedale in Toscana, so bene che ogni luogo è paese, ma almeno da noi i pazienti vengono fatti entrare e monitorati. Hanno letti posizionati dietro tendine per rispettare la loro privacy, non ammassati tutti insieme come in un girone dantesco».
Marisa e il marito entrano nel centro medico, hanno telefonato solo un'ora prima e gli hanno già fissato l'appuntamento, ne escono poco dopo molto più rasserenati. «Il gonfiore al braccio sta già rientrando – dicono più sollevati -. Non c'è pericolo di trombosi. Ce ne torniamo al mare, questi sono pur sempre i giorni delle nostre vacanze».