Lunedì 15 Settembre 2025 | 06:47

Una rosa rossa d'addio per Giovanna Reggiani

 

Sabato 03 Novembre 2007, 00:00

09 Dicembre 2024, 20:29

ROMA - Una rosa rossa, quella stretta tra le dita di Giovanni Gumiero, marito di Giovanna Reggiani, e poi posata sulla bara quando è stata collocata per terra di fronte all'altare. Una rosa rossa per salutare la compagna di venti anni di vita in comune. «Non è giusto, non è giusto», le parole dell'ufficiale di Marina colpito negli affetti più profondi. Ma anche parole come «Giovanna è stata colpita dalle ombre di questo vuoto che sta attorno a noi».
Giovanna Reggiani è stata uccisa dalla «ottusità della violenza, dal buio della morte, dalla tempesta della sofferenza». Un «gesto sciagurato» di una persona che rischia di determinare la punizione per un'intera comunità, «come temiamo che si scatenino campagne di odio e intolleranza». Sono parole con cui il pastore della Chiesa valdese di Roma, Antonio Adamo, e Maria Bonafede, moderatore della Chiesa valdese in Italia, hanno accompagnato il rito funebre di Giovanna Reggiani, massacrata nel buio di una stradina a Tor di Quinto, in un mondo solo in apparenza fatto di invisibili e a poca distanza da zone di Roma dove la vita è frenetica e illuminata. Da quella vita spezzata non deve generarsi la vendetta, ha invocato la Bonafede: «Oggi è il tempo del cordoglio, dopo viene il tempo della giustizia, la giustizia così potrà fare il suo corso. C'è tempo per ogni cosa, c'è il tempo per ragionare, anche se nessuno potrà restituire la vita terrena a Giovanna. Già oggi la giustizia punisce i colpevoli, non un capro espiatorio». No alla vendetta e all'intolleranza, «siamo cristiani perchè siamo convinti della forza dell'amore di Dio».

Un funerale officiato nella gremita Basilica del Cristo Re, in Prati, con rito valdese - perchè lei era valdese e "monitrice" nella chiesa di piazza Cavour, dove insegnava catechesi ai bambini in età pre-scolare - ma anche celebrato a «partecipazione ecumenica», con l'intervento del parroco, don Alessio Gobbin, e del cappellano della Marina militare, don Patrizio Benvenuti. La scelta della chiesa del Cristo Re si spiega perchè è quella che ormai a Roma accoglie le cerimonie, nella gioia e nello sconforto, che riguardano la Marina militare, per il fatto che in questa zona ci sono edifici che ospitano gli alloggi degli ammiragli di questa forza armata. Il dolore non ha aggettivi o avverbi. Il dolore è dolore, e basta. Lo è negli occhi asciutti ma che non riescono a nascondere lo sguardo tra l'incerto, il rassegnato e interrogante di un 87enne come Mario Reggiani, 87 anni, padre di Giovanna; lo è negli occhi sereni e nella compostezza di Francesca, madre di Giovanna; lo è in quelli fermi ma bagnati di Luca, il fratello della vittima di Tor di Quinto, che alla fine la saluterà con un semplice «il silenzio non è sempre muto. Ciao sorella». E lo è in quelli di Giovanni Gumiero, che poi più volte un cedimento lo ha quando il suo sguardo si posa sulla bara in rovere chiaro che è lì per terra.
Lo smarrimento è evidente invece negli occhi della classe politica che è venuta a rendere l'ultimo saluto a Giovanna: il ministro degli Interni, Giuliano Amato; il presidente emerito Francesco Cossiga, che non manca di lanciare una delle sue stilettate - «Io non faccio dichiarazioni perchè non devo nè prendere nè perdere voti. Oggi le dichiarazioni le fanno solo coloro che vogliono perdere voti o li vogliono conquistare» -; il presidente di An, Gianfranco Fini; l'ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini; l'ex ministro Gianni Alemanno; il presidente della Regione, Piero Marrazzo; il sindaco Walter Veltroni. E poi c'è il dolore, a stento nascosto dalla compostezza militare, del capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Gianpaolo di Paola, del comandante generale dei carabinieri, Gianfrancesco Siazzu, e del comandante generale della Guardia di Finanza, Cosimo D'Arrigo, e di tutti gli altri appartenenti alle forze armate - specie della Marina - che hanno presenziato alle esequie.

Il dolore è evidente anche nella folla, dentro e fuori la chiesa. E non manca chi lancia strali e invoca giustizia sommaria per il romeno accusato di aver massacrato Giovanna. «A morte, a morte», è l'urlo che qualcuno ha lanciato quando la bara è apparsa sul sagrato, al termine della funzione. «Ergastolo», ha gradato qualcun altro; «Un terremoto che li distrugga tutti», ha urlato una donna; e un'altra ancora «stai attento popolo romeno...». Voci isolate, anche contro il sindaco Veltroni - «è scappato via subito» - e la classe politica, colpevole a detta di chi urlava che «i politici li hanno fatti venire», ma voci che rischiano di essere tasselli fuori posto di un mosaico già molto difficile come la convivenza sociale. «Giovanna è stata strappata al bene e all'affetto del mondo e dei suoi cari - ha detto il pastore valdese -. Molti di quelli che la conoscevano e la stimavano ora sono profondamente interpellati. Questo rito è a partecipazione ecumenica, vuol essere segno di fede, di comunione, di supplica perchè questo sacrificio sia davvero fecondo per un irrinunciabile bisogno di riconciliazione, di promozione di giustizia e pace a favore di una nostra serena convivenza». La morte di Giovanna - ha detto ancora Antonio Adamo - «sarà il perenne ricordo del bisogno di riconciliazione». E anche se il Salmo 23 recitato oggi «è il salmo del primo impatto con il dolore», c'è il Vangelo di Giovanni che invita «il nostro e il vostro cuore a non essere turbato, ma ci sia fede». Certo - ha detto ancora il pastore valdese - è difficile oggi parlare con pacatezza di speranza, «forse può farlo un illuso, forse chi vive di illusionismo». E' vero anche che «l'umanità vive di odio, guerre, conflitti personali e collettivi, incertezze, paure, malattie», ma la speranza deve esserci, «percorriamo ancora la strada della vita e chiediamoci ancora "domani", che sembra una parola inquietante ma dev'essere il futuro». Difficile - ammette il pastore - accettare oggi questo discorso, perchè «la vita di Giovanna è stata cancellata con violenza», però «bisogna resistere al male, con la mitezza gioiosa della pace, la mitezza che era della nostra Giovanna, con il suo amore per il marito e in tutte le relazioni umane che hanno costituito il suo grande investimento affettivo». E «anche se questo è il tempo della disperazione, è la speranza che deve vivere». Rendere giustizia alla memoria di Giovanna - ha detto ancora il pastore Adamo - significa «rendere più umana la vita di uomini e donne. Vuol dire che la giustizia e la pace costituiscono un nuovo modo di essere uomini e donne nel nostro tempo». E dunque - ha sottolineato Maria Bonafede, moderatore dei valdesi italiani - «no all'odio, no alla xenofobia, al razzismo. E' l'amore a dover avere l'ultima parola».
Enzo Castellano

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)