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Autonomia, Giannola: «La proposta è incostituzionale»

 
Leonardo Petrocelli

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Leonardo Petrocelli

Autonomia, Giannola: «La proposta è incostituzionale»

«Un Mezzogiorno più povero sarebbe un autogol anche per l’Italia più ricca»

Sabato 19 Novembre 2022, 14:18

«Quella del ministro Roberto Calderoli è una proposta incostituzionale che ossifica una situazione già di per sé incostituzionale e in aperto contrasto con la legge del 2009 sul federalismo fiscale firmata dallo stesso Calderoli. Siamo all’assurdo». Non usa mezzi termini Adriano Giannola, economista e presidente della Svimez (Società per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno), nel liquidare la «bozza di lavoro» sull’autonomia differenziata del governo Meloni. Una bocciatura senza appello né possibilità di mediazione.

Professor Giannola, ci risiamo. Il nuovo Governo è in carica da meno di un mese e già riesplode il tema dell’autonomia. È preoccupato?

«Molto, principalmente per il problema numerico. Se veramente volessero andare fino in fondo, superando ogni ostacolo interno e le proprie diversità identitarie, questa volta avrebbero i numeri per fare quello che vogliono».

In cosa confida?

«Nel senso di responsabilità dei singoli, non solo meridionali. Vede, l’autonomia è una iattura per tutti: per il Sud ma anche per le aree interne del Nord. Un disastro».

Se è un disastro perché un po’ tutti insistono? Non ci sono di mezzo solo i leghisti ma anche alcune Regioni del Nord di centrosinistra.

«Vero. Il punto è che c’è un’illusione diffusa. Cioè l’idea di garantirsi le risorse che arriverebbero dal prendere delle competenze sotto l’ala della titolarità regionale. In pratica, nazionalizzando una Regione, rendendola indipendente, pioverebbero quattrini. Ma è appunto un’illusione».

Perché un’illusione? Sarà sbagliato ma i soldi probabilmente arriverebbero.

«Si crede che tutto si riduca alla differenza tra quanto si paga dal territorio e quanto, nel territorio, ritorna. Il cosiddetto “residuo fiscale” che si vorrebbe trattenere in loco. Il problema è che in questo calcolo manca una voce».

Cioè?

«Gli interessi sul debito che sono la parte principale della spesa pubblica. Quindi da quello che i cittadini pagano va sottratta non solo la spesa dello    Stato sul territorio ma anche gli interessi sul debito. Così i 40 miliardi della Lombardia diventano 18, in Veneto ed Emilia addirittura 4. E poi c’è un altro problema».

Quale?

«Limitare i trasferimenti nel Mezzogiorno lo impoverisce. E il Sud è proprio il mercato primario delle aziende del Nord. Tagliando le risorse, tagliano i soldi che servono ad acquistare i loro prodotti. Un autogol».

D’accordo, lasciamo stare i soldi. Resta il nodo delle competenze. Il Sud dice: fissiamo i Livelli essenziali delle prestazioni, cioè i servizi essenziali da garantire ovunque, e poi ragioniamo di autonomia. Cosa c’è di sbagliato?

«Niente, è la Costituzione».

Bene e quindi?

«Quindi la questione è un po’ complicata. I Lep sono un’entità quasi metafisica. È da vent’anni che si cerca di calcolarli ma le varie Commissioni non hanno mai prodotto nulla di concreto. E se qualcosa dovesse venir fuori sarebbe insabbiato, troppo scomodo. Ma anche ammesso di riuscirci non è un’impresa che si conclude in un giorno. E nel frattempo sa cosa si fa?».

Cosa?

«Si va avanti con la spesa storica, quel meccanismo che porta più soldi a chi già ne ha. E su questa base, secondo la bozza Calderoli, si fissano intese tra Stato e Regioni da considerarsi irreversibili. Nella misura in cui può essere la Regione a proporre di revocarle, non lo Stato».

Ma se si fissa una intesa prima dei Lep e poi i Lep arrivano, che succede?

«Ecco, questa è la furbata della legge. Si costituzionalizza la spesa storica. Quando arrivano i Lep o butti a mare l’intesa che però è irreversibile o avvii un travaso postumo di risorse che nessuno vorrà sottoscrivere. L’unico modo per uscirne sarà quello di calcolare i Lep in modo artatamente sbagliato, per far quadrare i conti. Conti sbagliati.».

Insomma, è una trappola.

«È un provvedimento che confligge con la Costituzione ma anche con la legge 42/2009 sul federalismo fiscale firmata dallo stesso Calderoli che imponeva di partire proprio dai Lep. Si tratta di un provvedimento malformato, geneticamente inaccettabile».

Come se ne esce?

«Rigettando il provvedimento, non discutendone. La Meloni dovrebbe bloccare tutto e suggerire a Calderoli di rileggere la Costituzione. O si elimina l’irreversibilità delle intese o si usano altri sistemi».

Ad esempio?

«Ad esempio il criterio delle risorse pro capite ponderato per popolazione. Non è complicato da calcolare come i Lep e non è iniquo come la spesa storica. Si può partire da lì per riequilibrare subito le differenze, magari coniugandolo misure perequative»

Un passaggio sulla sanità, professore. Il governatore pugliese Emiliano sostiene che, dopo aver calcolato i Lep, il regionalismo sanitario sarebbe un’opzione valida. Concorda?

«Non voglio fare polemica ma i governatori si sono convinti che senza le Regioni la pandemia sarebbe stata un disastro. A me sembra vero il contrario. Le cose sono migliorate quando lo Stato ha iniziato a fare lo Stato. Cioè il regista e non l’arbitro. Le venti sanità non sarebbero “i cento fiori cinesi” ma venti malformazioni con tanti difetti e pochi pregi».

In chiusura, un consiglio ai governatori del Sud.

«Fare squadra, portando avanti un ragionamento pacato ma realistico invitando a discutere di regole e controlli. Anche perché il futuro di tutti passa dal Mediterrano, non dalla Mitteleuropa».

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