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Ucciso e torturato in cella: il leccese Simone Renda come Giulio Regeni

 
Gianfranco Lattante

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Gianfranco Lattante

Ucciso e torturato in cella: il leccese Simone Renda come Giulio Regeni

Le autorità messicane non collaborano: processo in fase di stallo

Lunedì 18 Luglio 2022, 07:00

16:43

LECCE - Simone Renda come Giulio Regeni. Ci sono diverse analogie tra il caso del bancario leccese morto il 3 marzo 2007, a 34 anni, per le torture inflitte nel carcere messicano di Playa del Carmen dove stava trascorrendo un periodo di vacanza e quello del ricercatore italiano sequestrato, torturato e ucciso nel 2016 da 007 egiziani. L’uno e l’altro sono stati vittima di tortura in terra straniera; in entrambi i casi, gli imputati sono agenti segreti, poliziotti e giudici; né l’Egitto né il Messico stanno collaborando con l’autorità giudiziaria italiana per processare i responsabili.

«Il problema, per quanto riguarda l’omicidio Renda, è sorto dopo la celebrazione del processo e l’emissione della sentenza. Ciò perché, essendo gli imputati contumaci, era (ed è) necessario che la sentenza sia loro notificata perché possano proporre appello - spiega il giudice Roberto Tanisi, presidente del Tribunale di Lecce, che ha presieduto la Corte d’Assise davanti alla quale si è celebrato il processo per la morte di Simone Renda - Purtroppo (e qui sta l’analogia col caso Regeni) le autorità messicane non ne hanno voluto sapere di collaborare con l’Autorità giudiziaria italiana, e tutte le richieste di notifica, avanzata per il tramite del Ministero della Giustizia, sono state sino ad oggi disattese, con le scuse più banali. Fra le altre, quella di non conoscere il domicilio degli imputati: circostanza assolutamente non credibile se solo si considera che imputati erano agenti della Polizia penitenziaria e Giudici qualificatori».

La sentenza è stata pronunciata nel 2016: le condanne più pesanti sono state inflitte al giudice qualificatore Hermilla Gonzales e al vice direttore del carcere Pedro May Balam. La corte d’Assise ha previsto un risarcimento dei danni in favore delle parti civili assegnando una provvisionale per la madre e il fratello della vittima.
Per il caso Renda, dunque, una sentenza, sia pure di primo grado, è stata emessa. Invece, il processo ai presunti assassini di Giulio Regeni, non può essere celebrato, resta sospeso. La Cassazione, qualche giorno fa, ha stabilito che il processo non si potrà celebrare fin quando l’Egitto non fornirà gli indirizzi dei quattro imputati appartenenti al servizio segreto civile egiziano.
«Non conosco il caso Regeni, se non per quello che ne ho letto sui giornali - spiega Tanisi - Da quel che ho letto parrebbe che la notifica del decreto che dispone il giudizio agli imputati egiziani non sia andata a buon fine e, dunque, non vi sia prova certa che gli imputati abbiano esatta conoscenza del giudizio e del loro status di imputati. In questi casi, quando non è possibile la declaratoria di assenza perché l’imputato non ha legale conoscenza del processo (o non vi sia prova che l’imputato ne abbia legale conoscenza), il giudice dispone che sia dato personalmente avviso all’imputato e, ove ciò non sia possibile, sospende il processo». Fin qui il caso Regeni.
«Con riferimento all’omicidio Renda, sussistono analogie, ma anche significative differenze - aggiunge Tanisi - Nel processo dinanzi alla Corte leccese gli imputati furono dichiarati contumaci o irreperibili (a seconda dei casi), non essendo ancora in vigore la modifica normativa che ha introdotto il processo in assenza, oggi vigente. È stato quindi possibile effettuare il processo, dal momento che le notifiche degli atti introduttivi del giudizio, secondo la normativa dell’epoca, furono rituali. E questa è una significativa differenza col caso Regeni, posto che, in quest’ultimo caso, il processo è stato sospeso proprio per difetto di notifica».
Il problema, dunque, adesso riguarda la mancata collaborazione di Egitto e Messico.
«Allo stato il processo è in una fase di stallo, proprio a causa della mancata collaborazione delle Autorità messicane che non intendono eseguire la notifica della sentenza agli imputati. Ancora di recente, quale Presidente del Tribunale, ho sollecitato, tramite il nostro Ministero, l’adempimento di tale, essenziale incombente, rispondendo, con missiva tradotta in lingua spagnola, alle ultime pretestuose richieste delle Autorità messicane, ma non ho ottenuto risposta. Un clamoroso caso di denegata giustizia» commenta Tanisi.

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