L'intervista

Benni: «Guerra in Ucraina e propaganda, così il giornalismo sta sbagliando»

Leonardo Petrocelli

Il giornalista barese Benni: niente analisi profonde né verifiche dei fatti

BARI - «Ecco, noi la guerra l’abbiamo vista davvero e dal di dentro. Proprio per questo non ci piace come oggi viene rappresentato il conflitto in Ucraina. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo». Il j’accuse di undici inviati di guerra italiani, tra i più importanti degli ultimi decenni, ha preso la forma di una lettera-appello pubblicata all’inizio del mese sul quotidiano online «Africa ExPress». Il testo, piuttosto essenziale, denuncia la sparizione della categoria del dubbio dal racconto del conflitto e punta il dito contro una narrazione più interessata a rappresentare «buonissimi e cattivissimi» che a restituire la verità dei fatti e a produrre «analisi profonde». Tra i firmatari Tony Capuozzo, al centro di recenti polemiche, Alberto Negri, Giuliana Sgrena e Remigio Benni, giornalista barese di lungo corso, ex Ansa, impegnato per lunghi anni in teatri di guerra «caldi», dal Kenya alla Somalia, dall’Etiopia al Ruanda, passando per l’ex Jugoslavia e soprattutto l’Egitto. «Chiunque si metta a cercare di analizzare, approfondire e soprattutto a tentare di verificare le notizie - attacca Benni - viene tacciato di essere filo-Putin, di non volere aiutare l’Ucraina».

Benni, allora la domanda è ovvia: siete dei filo-Putin?

«Chi ha iniziato la strage e sta continuando a produrre lutti è Putin. Le responsabilità sono chiare. Non è questo in discussione».

E allora cosa?

«In tv e sui giornali c’è un pensiero mainstream che, titolo dopo titolo, corre dritto verso una sola destinazione: la necessità di armare l’Ucraina per continuare la guerra. La pace sembra una cosa poco interessante»

Cosa non va, tecnicamente, nel racconto?

«Basta scoprire un gruppo di cadaveri e subito si attribuiscono responsabilità senza sapere nemmeno cosa sia successo».

È un’accusa al giornalismo?

«Non lo è, ma i giornalisti, pure in buona fede, che descrivono la realtà ucraina, sono spesso costretti a riportare fatti non verificati. Anche i testimoni sono poco attendibili. Il rischio è creare distorsioni e orientare la gente verso obiettivi fasulli».

Ma a che scopo?

«Dividerla in tifoserie, trascinarla nell’applauso facile. Ma in guerra non funziona così. Non si può ragionare di un evento di tale portata escludendo il dubbio o senza ragionare su cause profonde o fatti di cronaca. C’è troppo in ballo. Non solo l’ordine globale che nascerà dopo ma anche le sanzioni economiche: ricordiamoci che a pagare il prezzo delle sanzioni saranno i più deboli».

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