Il punto
La Maschera Berlusconi nel libro di Buttafuoco
La prima estate senza gli echi dalle sue favolose dimore o dalle corsie di ospedale, senza il punto di vista del Cavaliere sulla politica e sul potere, per la prima volta saldamente in mano alla destra post-missina che egli «sdoganò» appoggiando Fini contro Rutelli in occasione delle Comunali di Roma nel 1993
Corre verso la fine la prima estate senza Berlusconi, scomparso il 12 giugno scorso. Senza gli echi dalle sue favolose dimore o dalle corsie di ospedale, senza il punto di vista del Cavaliere sulla politica e sul potere, per la prima volta saldamente in mano alla destra post-missina che egli «sdoganò» appoggiando Fini contro Rutelli in occasione delle Comunali di Roma nel 1993, giusto trent’anni fa (il primo incarico di governo di Giorgia Meloni sarà nel 2008 come ministro per la Gioventù nel Berlusconi IV). Quindi nel 1994 c’è la proverbiale «discesa in campo», cui segue un poker di presenze a Palazzo Chigi da presidente del Consiglio, e i processi, le infinite polemiche sul conflitto di interessi, gli odi e gli amori di un Paese mai così diviso, spaccato in due pro o contro Berlusconi. Protagonista, s’è detto e scritto, di una mutazione antropologico-culturale propiziata dalle sue televisioni e insinuatasi persino negli avversari che ne hanno assorbito il gusto per la boutade, l’eccesso, la dismisura mediatica. Ricordate il detto? «Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me». Sebbene poi l’unico a sconfiggerlo due volte sia stato un altro politico / impolitico, diversissimo da lui, quale Romano Prodi.
All’«arcitaliano» per eccellenza dedica un ritratto, anzi un «panegirico» lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco, Beato lui (Longanesi ed., pagg. 141, euro 17,00), illuminante nel rileggere la figura di Berlusconi come una Maschera dell’eterna commedia dell’arte, poi divenuta «commedia all’italiana» grazie al cinema. L’altra sera un programma di Canale 5 in ricordo di Maurizio Costanzo, che avrebbe compiuto 85 anni il 28 agosto, mostrava il Silvio nazionale in prima fila nella puntata del ventennale dello Show (2001), deliziato dall’esibizione di Gigi Proietti che simulava / evocava una performance quale cantante da night club finto-francese.
Ecco la quintessenza berlusconiana: divertirsi e divertire, intrattenere il pubblico e contribuire a crearlo come ha fatto incessantemente in tutte le sue attività, fin dagli esordi nei panni di chansonnier sulle navi, e fregarsene del contegno pur di piacere. Tra i primi, Berlusconi fa sua la lezione di studiosi come il francese Guy Debord, intuendo che la realtà ormai coincide con lo spettacolo. Non a caso sul principio Canale 5 è animato dai «situazionisti» Carlo Freccero e Antonio Ricci, i quali aggiornano in video la vocazione a spiazzare o carnevalare che fu del movimento studentesco sessantottino: l’imagination au pouvoir. Ma questa sorta di neoavanguardia s’innesta pur sempre sul tessuto profondo del Paese. Scrive bene Buttafuoco: «La patria del melodramma ha trovato in Berlusconi, che è amico di tutti nemico di nessuno, il primo dei suoi amanti. L’Italia è il Paese che ama, il dado con lui è più che tratto e il suo obbedisco! – l’ora tutta sua segnata dal destino – è il grande romanzo che Silvio consegna al mondo: “L’Italia è il Paese che amo”. Più che persona, il Cavaliere è personaggio».
Concepito a mo’ di ironica agiografia, quindi con un sotteso paradosso scandito dall’anafora del titolo «Beato lui», il libro costeggia la vita pubblica del trentennio berlusconiano concentrandosi sui chiaroscuri di un «individuo assoluto», scrive Buttafuoco, «come il Duca Valentino, come Cagliostro e come Giuseppe Garibaldi». Berlusconi è pretesto, contesto e finalmente testo con un che di epico, di patafisico, di irreale, tuttavia concreto nel corrispondere ad aspirazioni e bisogni diffusi. Nella chiave letteraria diventa dunque legittimo, persino naturale, che il libro cominci con l’ascesa del Cavaliere al Quirinale, carica vagheggiata e mai raggiunta, con un tocco visionario che può ricordare l’Aldo Moro vivo nel finale di Buongiorno, notte di Bellocchio. Ecco la scena: «Beato lui, arriva nel salone dove i Savoia giocavano a tennis e lì, chiamando il più piccolo dei suoi nipotini – il sempre biondo Arcisilvio -, sfida a un doppio il re Romolo e il fratello che, grazie a lui - beato lui -, può finalmente farsi chiamare Remolo».
«Tutto è burla», insomma, e il linguaggio immaginifico dell’autore compone un mosaico cui, invero, mancò la tessera del tragico. Parliamo del rimorso nel passaggio sulla morte violenta dell’amico Gheddafi: «Statista è stato, Berlusconi. Ma pur uomo di Stato non ha dimestichezza col delitto. Beato lui, non vi si abitua». Sebbene il tragico sia, ahilui!, il campo peculiare della politica, il suo recinto sacro e impuro al tempo stesso. Non proprio nelle corde del giocoso, seducente, donizettiano, comico Silvio che un giorno del 2020, anno primo del Covid, lascia la sua residenza romana in un via vai davvero felliniano.
L’epilogo si snoda sotto lo sguardo vigile di una bionda «forte di calcagno, gambe lunghe – accavallate – calzando spietate scarpe Louboutin», narrato da Buttafuoco, che motteggia: «Ultimo tacco a Palazzo Grazioli».