Una favola di Natale, la storia di un bambino senza genitori che parte dal Gambia, passa il Mediterraneo su un barcone, e in Italia trova una famiglia lucana e una maglia in una società di calcio di Serie A. È la storia del piccolo Musa Juwara, 16 anni compiuti ieri, che dopo aver affrontato l'abbandono dei genitori, la dittatura e i trafficanti di uomini, per realizzare il suo sogno ha dovuto battere anche la burocrazia dello sport. Lo ha fatto vincendo una causa, grazie alla mamma affidataria, avvocatessa, con una sentenza arrivata a ridosso di Natale, che spiana la strada per i campi di calcio ai tanti minori non accompagnati arrivati in Italia e che vogliono fare sport.
La storia di Musa, almeno quella da questo lato del Mediterraneo, è iniziata proprio così. Sbarcato vicino Messina, a 14 anni, il 10 giugno del 2016, la fotosegnalazione e l'invio a un centro di accoglienza a Ruoti, nel Potentino. Qui le partitella tra amici, coi ragazzi del paese, e poi la possibilità di allenarsi e giocare con una scuola calcio, la Virtus Avigliano. È la svolta. Perché con quella maglia amaranto, Musa trova anche una famiglia. L’allenatore lo prende a ben volere, lo invita a casa, lì Musa chiede aiuto alla moglie, Loredana Bruno, per poter essere ammesso a una scuola che ancora non riusciva a frequentare. La donna si attiva. Ma va oltre. Ne diventa il tutore, poi, col marito, diventano genitori affidatari, lo tolgono dalla comunità, lo portano a casa propria con gli altri due figli Davide e Iacopo che lo accolgono come un fratello.
Musa, a dispetto del nome, è ora un lucano. Con la maglia della Virtus Avigliano fa prodezze e porta la formazione a vincere il campionato regionale Allievi della Figc. Il suo nome inizia a circolare, arrivano osservatori da ogni parte d’Italia, piovono proposte di stage, come si chiamano oggi i «provini» per le grandi squadre. E a seguire arrivano le richieste di tesseramento. La famiglia, insieme ai servizi sociali e al giudice tutelare, sceglie tra le varie possibilità l’offerta del Chievo Verona: non è la squadra più famosa o più ricca, ma è quella che abbina al calcio la migliore proposta di un percorso scolastico ed educativo. Il «cartellino» può passare di mano, la Serie A è più vicina.
Per il piccolo atleta, però, c’è ancora un esame di italianità con cui confrontarsi: quello della burocrazia. Perché alla richiesta del Chievo la Figc risponde non solo negando il trasferimento ma annullando anche quello disposto negli anni precedenti dal comitato lucano. Una norma dice che non è possibile tesserare minori extraeuropei non accompagnati dai genitori. È una norma pensata a tutela dei minori, per evitare che agenti senza scrupoli reclutino giovani tra le favelas di mezzo mondo smembrando famiglie. Il caso di Musa è radicalmente diverso, ma chi legge la norma non va oltre il letterale: campi vietati per Musa e per tutti quelli nelle sue condizioni (nel solo 2016 sono arrivati 25mila minori non accompagnati in Italia, nel 2017 anche di più).
Mamma Loredana non ci sta. Può anche essere felice che Musa non parta, ma non può accettare di vederlo triste in tribuna. Fa causa, si affianca l’avvocato Vittorio Rigo esperto in questioni sportive (ha curato vicende di Donnarumma, Balotelli, Ibrahimovic ecc.) e poco prima di Natale il giudice del Tribunale di Potenza, Francesco Rossini, le dà ragione. Obbligo alla Figc di tesserare il ragazzo, non farlo sarebbe discriminatorio, e quella norma nata per tutelare i minori deve essere applicata con ragionevolezza solo quando serve realmente a tutelarli. Musa può tornare sui campi, può indossare la maglia del Chievo, può sperare nell’esordio in Serie A. Sapendo che in Basilicata ci sono due genitori, due fratelli, una comunità che fanno il tifo per lui. Un orgoglio, ormai, tutto lucano.
Giovanni Rivelli