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Bari, la moglie del boss ucciso
sfrattata dal quartiere Enziteto

 
Franco Giuliano

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Franco Giuliano

carcere

Arrestati il mandante e l'esecutore materiale del delitto avvenuto il 7 febbraio del 2016: si tratta di Saverio Faccilongo e Vito Antonio Catacchio

Venerdì 22 Dicembre 2017, 09:28

23 Dicembre 2017, 12:31

BARI - I carabinieri hanno arrestato due elementi di spicco del clan 'Strisciugliò di Bari in quanto ritenuti il presunto mandante e l'esecutore materiale dell'omicidio di Gianluca Corallo avvenuto a Bari, nel quartiere San Pio, il 7 febbraio 2016. Si tratta di Saverio Faccilongo, di 31 anni, che avrebbe ordinato l’omicidio, e di Vito Antonio Catacchio, di 33 anni, ritenuto il killer.

Le due ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal gip del Tribunale di Bari, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, sono state eseguite nei confronti dei due pregiudicati baresi che sono attualmente detenuti per associazione di tipo mafioso ed altro. Dovranno rispondere, a vario titolo e in concorso, di omicidio, porto e detenzione di arma da fuoco in luogo pubblico, nonché esplosione di colpi d'arma da fuoco in luogo pubblico, con l'aggravante del metodo mafioso.

Il provvedimento restrittivo è stato emesso in base agli ulteriori esiti di un’indagine avviata nel gennaio 2016 dal Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Bari dei carabinieri che ha consentito di fare luce su un violento conflitto, per il controllo dei traffici illeciti, nato nel quartiere periferico barese di Catino - Enziteto, tra i referenti di zona del clan Strisciuglio e quelli invece legati alle rivali compagini dei clan Di Cosola e Capriati.

Nell’ambito di questa guerra tra 'clan' sarebbe avvenuto il 7 febbraio 2016 l’omicidio di Gianluca Corallo, deciso da Saverio Faccilongo, esponente di spicco del clan Strisciuglio, e materialmente compiuto dal suo killer 'di fiducià, Vito Antonio Catacchio. L’esecuzione dei provvedimenti di custodia cautelare dei due segue di poche ore la sentenza di condanna di 1 grado comminata dal Tribunale di Bari a 41 presunti affiliati al clan Strisciuglio, al termine del processo scaturito dalle risultanze della operazione chiamata «Agorà», condotta sempre dal Nucleo Investigativo di Bari e coordinata dalla locale Dda.  

Nel corso dell'inchiesta  è emerso che la moglie di Gianluca Corallo, il boss del clan Strisciuglio ucciso il 7 febbraio 2016, dopo la morte del marito sarebbe stata costretta dal nuovo capo a lasciare il quartiere Enziteto. Stando agli accertamenti dei carabinieri, coordinati dal pm Giuseppe Gatti, tra la fine del 2015 e i primi mesi del 2016 in quel rione barese era in corso una faida interna al clan Strisciuglio per la leadership nella gestione dei traffici illeciti, soprattutto la droga. Il referente del clan era all’epoca Corallo il quale, però, aveva stretto una sorta di alleanza con gli «esodati» del clan rivale Di Cosola.

Faccilongo era deciso a punirlo e a diventare il nuovo capo. Dopo una prima intimidazione, nel novembre 2015, nel circolo ricreativo di Corallo, 'la ciurma biancorossà, Faccilongo avrebbe progettato l’omicidio, commissionandolo al suo killer di fiducia, Catacchio, il quale una domenica pomeriggio di febbraio avrebbe raggiunto Corallo per strada uccidendolo con un colpo di pistola in pieno volto. Un agguato fatto con «modalità plateali - si legge negli atti - volte a provocare allarme sociale, attribuendo evidenza pubblica all’azione delittuosa e rafforzando il messaggio omertoso». Il gruppo criminale guidato da Faccilongo avrebbe così conseguito il risultato di una "condizione di generalizzato assoggettamento che il clan imponeva sugli abitanti del quartiere e sugli altri consociati».

«L'affermazione violenta della nuova leadership di Faccilongo" era tale, che i suoi affiliati - dopo la morte di Corallo - avrebbero costretto la moglie della vittima a lasciare la sua casa e il quartiere. Da queste indagini, dicono gli inquirenti, emerge «uno spaccato particolarmente triste e allarmante» di un territorio dove «le dinamiche di radicamento della mafia e la condizione di omertà hanno pochi precedenti nella realtà barese». Il procuratore di Bari, Giuseppe Volpe, nel sottolineare il «grosso lavoro sulla criminalità organizzata" fatto negli ultimi anni dagli investigatori e dai magistrati Antimafia, ritiene che «dopo aver sgominato letteralmente il clan Di Cosola, anche gli 'strisciuglianì sembrano per il momento fuori combattimento».

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