Le ordinanze di custodia cautelare (12 in carcere e cinque agli arresti domiciliari) sono state emesse dal gip presso il Tribunale di Potenza, Alberto Iannuzzi: i reati contestati sono quelli di associazione per delinquere finalizzata alla truffa, alla ricettazione e al millantato credito.
Il gip, inoltre, ha disposto l'obbligo di dimora e quello di firma per altri due indagati e ha ordinato il sequestro preventivo di decine di conti correnti e depositi di titoli e di lussuosi immobili a Nizza, in Francia, e in Umbria.
Le truffe hanno portato all'organizzazione proventi per milioni di euro. In alcuni casi venivano prospettati agli imprenditori appalti per lavori da eseguire in Somalia; ad altri imprenditori - in difficoltà economiche - si promettevano finanziamenti consistenti, a condizioni particolarmente favorevoli.
In entrambi i casi, i truffatori si facevano consegnare dagli imprenditori grosse somme di denaro, per costituire società all'estero oppure - così raccontavano - per corrompere ministri e funzionari del governo somalo. Una truffa da centomila euro attuata ai danni di imprenditori potentini (convinti di aver costituito in Francia una società che avrebbe fatto ricerche idrogeologiche in Somalia) ha fatto scattare le indagini coordinate da Woodcock.
Capo indiscusso dell'organizzazione dei truffatori - secondo l'accusa - era Massimo Pizza, per il quale il giudice delle indagini preliminari ha disposto la detenzione in carcere. Pizza, con contatti in diversi ambienti, avrebbe millantato con gli imprenditori raggirati legami con i servizi segreti civili e militari italiani, con organizzazioni internazionali (fra le quali l'Onu) e con esponenti del governo della Somalia. Pizza, fra l'altro, millantava di essere capo del cosiddetto «ufficio K» del Sisde.
Sono finiti in carcere anche i due principali collaboratori di Pizza: Massimo Corradetti e Antonio D'Andrea, che contribuivano, in particolare il primo, ad individuare gli imprenditori da ingannare e ad organizzare nei minimi dettagli le truffe. Le altre persone arrestate - secondo quanto si è appreso - sono tutte legate in qualche modo ai tre principali esponenti dell'associazione per delinquere, anche da rapporti di parentela: le indagini hanno portato alla scoperta di un giro di denaro per decine di migliaia di euro (circa 90 mila al mese) solo per sostenere un «tenore di vita» che giustificasse agli occhi degli imprenditori truffati la «potenza» dell'organizzazione a cui avevano accettato di rivolgersi.
Fra le persone arrestate, inoltre, vi sono anche un assistente della Polizia di Stato e un sottufficiale dei Carabinieri, quest ultimo già in servizio al Sisde a Perugia e a Roma: secondo la tesi accusatoria, condivisa dal gip, la loro opera era essenziale per l'organizzazione.
INDAGATO ANCHE VICEPREMIER SOMALIA
Il Viceprimo ministro e Ministro dell'Interno della Somalia, Hussein Mohamed Farah Aidid, è indagato nell'inchiesta del pm potentino, Woodcock, che stamani ha portato all'arresto di 17 persone, la maggior parte delle quali componenti di una banda specializzata in truffe milionarie ai danni di imprenditori.
Secondo quanto si è appreso, nel febbraio scorso il Ministro somalo compilò una serie di atti inviati poi - attraverso il consolato di Nizza - al Ministero degli Esteri italiano, con cui tentò di «coprire» Massimo Pizza e Massimo Corradetti (il capo e uno dei principali esponenti della banda di truffatori) e anche uno degli imprenditori raggirati, che è di Potenza e fu nominato consulente per le ricerche di acqua nel territorio somalo. Gli atti però furono compilati dopo l'interrogatorio di Corradetti e dopo che il pm aveva ascoltato alcuni imprenditori truffati.
In cambio dei documenti che dovevano sostenere l'attività della banda, Aidid - secondo l'accusa - ottenne da Pizza e Corradetti tremila euro. Gli atti firmati dall'esponente del governo somalo dovevano servire a rassicurare gli imprenditori che nel Paese africano vi era la disponibilità di fondi, stanziati dalla comunità internazionale per aiutare la Somalia. Secondo il pm e il gip di Potenza, invece, quei soldi erano soltanto uno «specchietto per le allodole», per ingannare gli imprenditori potentini e di Forlì convinti di aver fatto investimenti in territorio somalo.
















