Domenica 07 Settembre 2025 | 02:13

I Mancini boys alla prova dello scontro diretto

 
Antonello Raimondo

Reporter:

Antonello Raimondo

L’entusiasmo non è un’opinione. Come l’empatia che, tutto d’un tratto, è riesplosa tra la nazionale italiana di calcio e il popolo pallonaro

Sabato 26 Giugno 2021, 12:38

L’entusiasmo non è un’opinione. Come l’empatia che, tutto d’un tratto, è riesplosa tra la nazionale italiana di calcio e il popolo pallonaro. Tutto vero, fortissimamente vero. Ritrovarsi davanti alla tv con gli occhi gonfi d’azzurro è tornata a essere una bellissima, irrinunciabile abitudine. A prescindere dal nome dell’avversario.

Senza quindi rivelarsi determinante ai fini delle scelte e, quindi, dello share. L’Austria vale la Francia. La partita, l’unica cosa che conta. Con quella irrinunciabile voglia di sognare che ti prende per mano e ti porta a passeggio lasciandoti in eredità un nonsocché di magia.

È l’Italia. Anzi, la nuova Italia. Fresca e sbarazzina. Una squadra che, tre anni fa, ha deciso di cancellare paure e limiti cucendosi addosso l’abito dell’ambizione. In un crescendo ogni giorno più credibile. Partendo dalla mentalità per, poi, spingersi fino al gioco nella sua accezione più tecnica. Non esiste al mondo un allenatore che neghi l’imprescindibilità della fase difensiva.

Ci sono, più semplicemente, modi diversi di allenarla e migliorarla. Cambiano i principi attuativi, interpretarla venti metri più avanti o più indietro fa tutta la differenza del mondo. Finendo per regalare certezze a te stesso e, magari, toglierle agli avversari.

Gli azzurri sono un’entità fastidiosa. Un po’ come «andare dal dentista» giocando contro l’Atalanta, per dirla come un grandissimo maestro di calcio come Pep Guardiola. I ruoli non sono mai lo strumento per limitare la forza del singolo. Al limite un riferimento da cui partire per spingersi chissà dove. Gli attaccanti che conoscono l’arte dell’occupazione degli spazi in fase di non possesso. I terzini che giocano a fare le ali d’attacco. I centrocampisti arrembanti e capaci di attaccare la porta con insospettabile «leggerezza». La sintesi è diventata una cosa bellissima. Un modo di stare in campo che ha rapito un po’ tutti. L’Italia che sognavamo da un bel po’.

Dai fuochi d’artificio di un girone condotto col piglio delle grandi squadre alle sabbie mobili delle sfide ad eliminazione diretta. È un altro sport, su questo bene essere chiari. Nelle partite singole l’aspetto mentale diventa determinante. Quando sai che un errore può esserti fatale non puoi non mettere in conto di dover anche «gestire». I ritmi e il modo di sviluppare il gioco.

L’incoscienza e la libertà di testa trovano, quasi d’incanto, nemici sparsi qua e là. Cambia l’approccio, la vecchia «password» non rappresenta più una certezza. Ecco, all’Italia si chiede di diventare ancora più forte. E, quindi, diversa. Una squadra che, contro l’Austria, non rinneghi la sua filosofia ma che mostri di possedere l’algido cinismo di chi sa coniugare il verbo della vittoria.

Vincere stasera, volando ai quarti di finale, non sarebbe certo un’impresa. Ma un altro piccolo tassello in un processo di crescita a cui tutti guardiamo con ammirazione e un pizzico di umana fibrillazione. L’Italia è tornata a fare l’Italia. Oggi tutti la guardano con rinnovato rispetto. Oggi non ci si può più nascondere. C’è voglia di giocare per essere protagonisti. Per vincere, già.

Come, d’altronde, Roberto Mancini va raccontando da almeno un paio d’anni. In profondissima controtendenza. Molti suoi colleghi sono abili equilibristi. Giocano a nascondino come se parlassero con un popolo di imbecilli. Il «Mancio», no. Usa le parole del campo. Proprio come quando incantava col pallone tra i piedi. Numero 10, per davvero.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Marchio e contenuto di questo sito sono di interesse storico ai sensi del D. Lgs 42/2004 (decreto Soprintendenza archivistica e Bibliografica Puglia 18 settembre 2020)

Editrice del Mezzogiorno srl - Partita IVA n. 08600270725 (Privacy Policy - Cookie Policy - - Dichiarazione di accessibilità)