L'intervista
Violante: «È la crisi del terzo anno c’è bisogno di competenza»
Il presidente della Camera dei Deputati e della Commissione Parlamentare Antimafia, e oggi alla guida della Fondazione «Leonardo»: «non vedo soluzioni istituzionali, più probabile una correzione della compagine di Governo o un Conte ter»
BARI - Non vede all’orizzonte una «soluzione istituzionale», ma piuttosto una ridefinizione della compagine governativa o un Conte ter. Con l’auspicio che la «correzione» premi le competenze e non sacrifichi le donne al Governo. È questa la lettura della crisi politica offerta da Luciano Violante, già presidente della Camera dei Deputati e della Commissione Parlamentare Antimafia, e oggi alla guida della Fondazione «Leonardo».
Presidente Violante da dove iniziamo per decifrare il terremoto politico in atto?
«Mi colpisce innanzitutto il ritorno della crisi del terzo anno. Sia Prodi che Berlusconi, esattamente come Conte, durante il terzo anno hanno affrontato una grave crisi».
E la ragione di questa «ricorrenza» qual è?
«Cinque anni sono troppi. Subentrano la stanchezza e la fatica di una certa routine. Anche i nervosismi iniziano a moltiplicarsi. In un tempo così veloce meglio puntare su quattro anni come in Germania e Stati Uniti».
Questo è un dato preventivo. Nel merito invece?
«Ho l’impressione che si continui a parlare di persone e non di cose da fare. Eppure sappiamo tutti quali sono le priorità a cominciare dal Recovery Fund e dal problema del controllo del debito. Ci vuole un atteggiamento più maturo».
L’«atteggiamento più maturo» esclude il voto anticipato?
«Possiamo davvero permetterci il lusso di attraversare una crisi che durerà chissà quanto mentre i Paesi europei stanno aspettando il nostro piano? Le elezioni in Calabria sono state spostate ad aprile e siamo qui a chiederci se andare o meno a voltare a livello nazionale».
Se mettiamo da parte il voto dove si va secondo lei?
«O verso qualche correzione nella compagine di Governo o verso un Conte ter. E comunque bisognerebbe smettere con le mance a pioggia».
L’idea dei due vicepremier?
«Quello schema mi ricorda Pinocchio con i due gendarmi. È la spia di un governo debolissimo, quindi eviterei. Il presidente del Consiglio c’è, dunque si ridiscuta la struttura stando bene attenti all’equilibrio uomo-donna perché quando sento di ministri che potrebbero saltare sono quasi sempre donne».
In effetti le prime potrebbero essere le renziane Bonetti e Bellanova ma per scelta politica. Come giudica l’azione di Renzi in questa fase? È lui la principale pietra d’inciampo del premier.
«Renzi è un uomo di straordinaria duttilità e intelligenza. Sa trovare il punto critico dell’avversario che, in genere, è un ex alleato. Di fatto, però, ha il coraggio di porre temi che altri non pongono».
Uno è quello dei servizi segreti sulla cui gestione Renzi critica l’autoreferenzialismo di Conte: ha ragione?
«La legge è chiara: alcune delle funzioni di governo dei Servizi sono attribuite in esclusiva al presidente del Consiglio, non c’è alcun vertice duale. Se Conte intende indicare una persona di sua fiducia, per alleggerirsi, può ben farlo; ma dev’essere di sua fiducia, non di fiducia di un partner della maggioranza».
Torniamo alla crisi: ha parlato di «correzione» della compagine governativa o di Conte Ter. E un Governo di unità nazionale, invece? Magari con Mario Draghi alla guida?
«Quando si parla di personalità come Draghi è bene sospendere i giudizi, deciderà lui dove collocarsi. Io però non vedo una fase istituzionale quanto piuttosto una fase che premi le competenze nei posti chiave. Insomma, una integrazione del modo di governare, non della compagine di Governo».
Altre task force?
«Nei ministeri ci sono dirigenti di primissimo ordine: inutile creare nuovi organismi, meglio mettere a frutto il valore di chi già c’è, magari con una piccola struttura di coordinamento a Palazzo Chigi che monitori come vanno le cose nei singoli ministeri».
Tra i temi cruciali c’è quello del Recovery Fund, per molti l’ultimo treno per il Mezzogiorno. Si discute, in particolare, di percentuali: al Sud dovrebbe essere assegnato il canonico 34% delle risorse o il doppio come da più larga interpretazione dei criteri europei?
«Il problema non sono i soldi, ma le cose da fare. Bisogna decidere su cosa investire, quali sono i temi e quale la visione anche nel lungo periodo. È irragionevole chiedere senza dire per cosa si cerca di ottenere più soldi».
Infine la Fondazione «Leonardo», da lei presieduta, pubblicherà un’ampia ricerca per i tipi del Mulino sulla gestione della pandemia. Tanti i nodi tecnici e giuridici, dai Dpcm al moltiplicarsi delle task force. Qual è il giudizio conclusivo?
«La pandemia è stata talmente imprevista e improvvisa da cogliere tutti impreparati. L’Italia ha fatto meglio di altri se pensiamo che disponevamo di una buona Protezione civile, ma tutta calibrata sui terremoti. Lo sforzo è stato notevole e, di certo, ci sono stati alcuni errori. Ma, al di là delle polemiche politiche, di fronte a un evento di questo genere si poteva davvero ritenere che tutto sarebbe andato bene?»