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Servizi falsi su «Striscia», Mingo condannato per 4 casi, per altri 6 assolto o accuse prescritte. La difesa: «Assolti per fatti più gravi»

 
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Mingo, il giorno che fui cacciato da un pupazzo rosso

Un anno e due mesi per l'ex inviato e la moglie. Risponderà anche per diffamazione

Lunedì 14 Dicembre 2020, 17:11

21:48

Il Tribunale di Bari ha condannato alla pena di 1 anno e due mesi di reclusione Domenico De Pasquale (in arte Mingo) e Corinna Martino (amministratore unico della Mec Produzioni Srl di cui il marito Mingo era socio) per i reati di truffa, falso e diffamazione relativamente a una parte delle accuse per i cosiddetti falsi servizi. La Procura aveva chiesto 2 anni e 8 mesi.

Stando all’ipotesi accusatoria Mingo, ex inviato barese di Striscia la Notizia, avrebbe truffato Mediaset con la complicità di sua moglie facendosi pagare alcuni servizi relativi a fatti inventati ma spacciati per veri, e facendosi anche rimborsare costi non dovuti per figuranti e attori.

Gli imputati sono stati ritenuti responsabili di quattro truffe relative ad altrettanti falsi servizi realizzati per il tg satirico, andati in onda tra il 2012 e il 2013. Per altri tre episodi è stata dichiarata la prescrizione, come per le presunte simulazioni di reato, e per altre tre truffe e una contestazione di calunnia il Tribunale ha assolto nel merito gli imputati «perché il fatto non sussiste».
Mingo è stato condannato anche per aver diffamato, nel 2015, gli autori di Striscia la Notizia, accusandoli di essere gli "ideatori dei falsi servizi».

Alle costituite parti civili, Mediaset, Antonio Ricci e altri nove tra autori e produttori della trasmissione, gli imputati dovranno risarcire i danni.

Per quattro persone, inoltre, il Tribunale - su chiesta del pm - ha disposto la trasmissione alla Procura dei verbali delle dichiarazioni per «eventuali iniziative di sua competenza».

LA DIFESA: «ASSOLTI PER FATTI PIU' GRAVI» - Gli avvocati Francesco Maria Colonna Venisti e Ludovica Lorusso, difensori di Corinna Martino e Domenico De Pasquale, in una nota, precisando «che le sentenze non si discutono: se non si condividono, si impugnano», aggiungono che: «Per farlo è necessario attendere e studiare le motivazioni che sostengono il provvedimento».

«I nostri assistiti - fanno sapere i difensori - sottolineano di aver dimostrato la loro estraneità ai fatti a loro ascritti, raggiungendo la formula assolutoria per i fatti più gravi».  

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