La città che verrà

Bari, «Comune restituisca subito i suoli di Punta Perotti: il parco è abusivo»

Giovanni Longo

La richiesta dei liquidatori della Sudfondi

BARI - Il «Parco della Legalità» a Punta Perotti potrebbe avere i giorni contati. Ironia della sorte, visto il nome con il quale è noto, il giardino pubblico quasi di fronte alla spiaggia di Pane e Pomodoro molto frequentato dai baresi (Dpcm permettendo), sarebbe persino abusivo. I liquidatori della Sudfondi, un tempo ammiraglia del Gruppo Matarrese e ormai in liquidazione soprattutto a causa delle conseguenze economiche legate a doppio filo con la nota e complicata vicenda giudiziaria, hanno intimato al Comune la restituzione immediata dei suoli privati. Via tutto, compreso lo smantellamento di giostre, pista ciclabile, attrezzature, giardino, tensostrutture.

Si arricchisce di un nuovo tassello il dossier sui palazzi demoliti nel 2006 dall’allora sindaco Michele Emiliano che azionò il detonatore. Parte dei detriti e delle macerie sono ancora lì sotto. Le conseguenze di quel botto si riflettono ancora oggi.
Venerdì scorso i liquidatori giudiziari, avvocato Flora Caputi e dottor Vito Lisi, chiamati dai giudici a gestire la società in liquidazione, hanno inviato una Pec al Comune di Bari, al sindaco Antonio Decaro e al direttore generale Davide Pellegrino, questi ultimi chiamati a gestire, non c’è che dire, un’eredità piuttosto pesante visto che la vicenda affonda le radici ai primi anni Novanta.

Ormai fuori gioco gli imprenditori, tre, sostanzialmente, i punti messi a fuoco dai liquidatori, nominati meno di un mese fa dal Tribunale fallimentare che ha detto sì alla proposta di concordato preventivo per scongiurare il fallimento, con l’obiettivo di tutelare i creditori. Bene, premesso che la Sudfondi è proprietaria dell’area sul lungomare a sud di Bari (per la verità sarebbe più corretto dire est) sulla quale sorge il noto parco pubblico cittadino, i liquidatori giocano in attacco, rappresentando la necessità di conseguire l’immediato possesso del terreno per soddisfare la massa dei creditori. E Palazzo di Città non può prendersela tanto comoda nelle sue determinazioni perché la restituzione dei suoli, nelle intenzioni dei curatori, deve avvenire «nel più breve tempo possibile e previa urgente rimozione delle opere, beni mobili, manufatti ed attrezzature esistenti sull’area per essere stati ivi collocati da codesto comune». Di qui l’invito rivolto al Comune dalla Sudfondi in liquidazione a conoscere la «data dell’incontro per la redazione del verbale avente ad oggetto la riconsegna dei cespiti sgomberati dalle cose innanzi descritte entro e non oltre il 30.11.2020». Ovvero, tra due settimane.

Ma non finisce qui. Alcune aree (ben 30mila metri quadrati) della lottizzazione della discordia, mai revocata in autotutela dal Comune (i suoli dunque erano e restano edificabili), vennero acquisite al patrimonio comunale per la realizzazione delle opere di urbanizzazione primarie e secondarie (condotte idriche, rete fognaria, viabilità, illuminazione). Bene, essendo venuta meno la revoca della confisca sulla base di un principio in realtà banalissimo ma che non è stato semplice fosse affermato (non si può essere «assolti e confiscati»), anche quelle aree possedute dal Comune, devono tornare al legittimo proprietario. Se ciò non avvenisse, i liquidatori annunciano che saranno costretti «ad adire il competente magistrato per la migliore tutela dei diritti della massa concordataria».

Ultima richiesta, non di poco conto per i baresi, quella relativa al risarcimento dei danni «derivanti dal mancato godimento di tutti i beni innanzi indicati a causa della loro protratta occupazione senza titolo da parte del Comune». Un abuso che si sarebbe perpetrato a partire da quando è divenuto definitivo il provvedimento con il quale il gip del Tribunale di Bari, ormai 10 anni fa, revocò la confisca dei suoli disposta nel lontano gennaio 2001 dalla Cassazione. Confisca, bollata dalla Cedu come «arbitraria e senza base legale». Ma questa è un’altra storia. I liquidatori di Sudfondi nominati dal giudice chiedono dunque al Comune lo sgombero del parco pubblico. La parola, adesso, passa al Comune.

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