Dopo il crac

«Operazioni poco chiare», Fse non vuole pagare 43mln di debiti: è guerra

Massimiliano Scagliarini

I crediti vantati dai fornitori sono ritenuti dubbi dall'azienda, ma i creditori minacciano di chiedere il fallimento

Un «tesoro» da 43 milioni, i debiti che Ferrovie Sud-Est - con la gestione del vecchio amministratore Luigi Fiorillo - ha contratto nei confronti di imprese e professionisti e che oggi non vorrebbe pagare, ritenendoli frutto di operazioni poco chiare. Ma dopo che a fine giugno il Tribunale di Bari, nell’ambito della procedura di concordato preventivo ha detto «no» al congelamento di quelle partite, la società ha presentato un nuovo ricorso, stavolta davanti al Tribunale di Roma. Innescando una prevedibile reazione: chi è finito nell’elenco dei crediti dubbi, ma non ha avuto contestazioni in sede penale, vuole i suoi soldi e minaccia di chiedere il fallimento.

Non c’è pace, dunque, per la più importante ferrovia privata italiana, alle prese con una difficile operazione di risanamento finanziario e industriale. Il 30 giugno è infatti scaduto il termine - previsto dal piano di concordato - per il pagamento dei 152 milioni dovuti ai creditori privilegiati. Due giorni prima, con il parere negativo dei commissari giudiziali Marcello Danisi, Roberto Fabbroni e Eugenio Mangone, Fse ha chiesto al giudice delegato Nicola Magaletti l’autorizzazione ad «accantonare» le somme in contestazione, ricevendo un «no». Sul punto la società ha presentato reclamo (non ancora deciso), ma per il momento quei creditori vanno pagati. Cosa che non è avvenuto. E così a inizio agosto gli avvocati Riccardo e Vittorio Riccardi (assistiti dai legali Beppe Trisorio Liuzzi e Francesco Biga) hanno diffidato Fse a pagare il dovuto, contestando a Sud-Est una lunga serie di possibili irregolarità anche nella gestione degli incarichi legali: i fratelli Riccardi hanno patrocinato la società anche dopo il commissariamento e dopo la presentazione del concordato, in base a nuovi mandati, eppure continuano a non essere pagati. Ciò che la diffida non dice è evidente: se non otterranno ciò che spetta loro, i Riccardi chiederanno al Tribunale di Bari di revocare il concordato per inadempimento, e dunque di dichiarare il fallimento di Sud-Est.

Il 6 agosto, dunque, la società che oggi fa capo al gruppo Fs è passata al contrattacco con un nuovo atto di citazione, stavolta davanti al Tribunale di Roma, con cui chiede di poter «differire il pagamento dei crediti». Una iniziativa sorprendente, considerando che già un anno fa, nei confronti degli stessi creditori in contestazioni, Fse aveva avviato azioni di accertamento di quegli stessi crediti: insomma aveva chiesto a un giudice di stabilire se i 43 milioni complessivi siano o meno dovuti.
Il procedimento penale ipotizza che Fiorillo abbia svuotato Sud-Est, portandola in stato di insolvenza a colpi di appalti gonfiati e consulenze inutili: di qui l’elenco dei 34 creditori che la società ora non vorrebbe pagare.

Gli avvocati Riccardi (come detto, sono assolutamente estranei a ogni contestazione in sede penale) hanno maturato 7,9 milioni di crediti di cui 5,7 oggetto di concordato (di questi, 2,7 sono privilegiati e rientravano tra quelli che andavano pagati entro il 30 giugno) e 2,2 maturati dopo. Il 6 giugno la Procura di Bari (che sostiene l’accusa di bancarotta nel processo a carico di Fiorillo) ha chiesto e ottenuto il sequestro preventivo di una parte dei crediti contestati, per un totale di 25 milioni di cui 8 privilegiati (i crediti sequestrati fanno capo a 13 soggetti tra società e professionisti, tra loro spicca l’avvocato romano Angelo Schiano, uno degli imputati, con 17 milioni). La partita in sede fallimentare si intreccia dunque a filo doppio con il procedimento penale per bancarotta: al centro c’è sempre il «buco» da 230 milioni di euro, quello che il concordato preventivo sta provando a colmare.

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