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Trani, giudice Nardi calunniò colleghe e avvocato: confermata condanna

 
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Trani, giudice Nardi calunniò colleghe e avvocato: confermata condanna

Un anno e sei mesi per il giudice che è in carcere da più di un mese per associazione a delinquere e corruzione nell'ambito di una inchiesta della Procura di Lecce

Lunedì 18 Febbraio 2019, 20:18

La Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la condanna a 1 anno e 6 mesi di reclusione nei confronti del magistrato pugliese Michele Nardi, riconosciuto colpevole di calunnia nei confronti di colleghe e di un avvocato. Nardi è in carcere dal 14 gennaio scorso nell’ambito di una indagine della Procura di Lecce (per fatti risalenti a quando era in servizio a Trani) su una presunta associazione per delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari per indagini e sentenze pilotate in cambio di denaro e gioielli. Al momento dell’arresto Nardi era in servizio presso il Tribunale di Roma.

I fatti contestati dalla magistratura calabrese risalgono al maggio 2012. Nardi aveva accusato di corruzione in atti giudiziari e abuso d’ufficio due magistrati suoi ex colleghi a Trani, Maria Grazia Caserta e Margherita Grippo, e l’avvocato barese Michele Laforgia, dichiarando che avevano pilotato l'esito di un processo per ottenerne un guadagno economico. Circostanze risultate non vere e che Nardi avrebbe falsamente dichiarato per «una predisposizione maliziosa di dati, elementi e circostanze di fatto - scrive a il gup del primo grado - abilmente combinati con elementi inconsistenti, ma tutti funzionali al progetto calunnioso complessivo».

Dagli atti dell’indagine della magistratura salentina è emerso che nel 2016, quando ancora non era stata pronunciata la sentenza di primo grado del processo di Catanzaro, Nardi avrebbe anche tentato di avvicinare il giudice calabrese, il gup Antonio Battaglia, che di lì a un anno lo avrebbe giudicato e condannato. Con riferimento a questo episodio il gip di Lecce, nell’ordinanza di arresto, parlava di «una trama vischiosa di rapporti intessuti da Nardi», «una chiara propensione dell’indagato a sistemare vicende giudiziarie facendo ricorso anche espliciti tentativi di corruzione, evidentemente nel caso di specie non andati a buon fine».

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