L’arabo che riconobbe in foto l’omicida come l’uomo da cui aveva acquistato uno dei due telefonini rapinati alla tabaccaia uccisa; un assistente sociale che pure riconobbe in foto l’imputato che aveva dormito in un dormitorio; le frequentazioni tra assassino e presunto complice; la cessione a quest’ultimo di un locale messo a disposizione da una parrocchia. Hanno parlato di questo i 4 testimoni citati in corte d’assise nella sesta udienza del processo a Redouane Moslli, 45 anni, bracciante marocchino, reo confesso, in cella dal 3 settembre 2023. Il pm Ida Perrone gli contesta il concorso anomalo (reato diverso da quello voluto) in omicidio aggravato e la rapina aggravata ai danni di Franca Marasco, 72 anni, foggiana, titolare della tabaccheria di via Marchese De Rosa 100, uccisa il 28 agosto 2023 con 4 coltellate a gola e addome per rapinarle 2 telefonini e 75 euro. L’imputato è difeso dall’avv. Benedetto Maria Scippa; i familiari della vittima si sono costituiti parte civile con l’avv. Giulio Treggiari, il quale ipotizza che l’omicidio della Marasco fu premeditato e “mascherato” come rapina finita tragicamente.
Moslli sostiene d’aver spartito i 75 euro rapinati con Vittorino Checchia, foggiano arrestato il 14 settembre 2023, deceduto a 71 anni il 15 giugno successivo in ospedale dov’era piantonato dalla polizia penitenziaria: si diceva innocente. All’identificazione di Moslli i carabinieri giunsero attraverso i video che lo ritrassero durante la fuga, e alcune testimoni. Come quella di un arabo che, ignaro della provenienza acquistò da Moslli il telefonino Huawei rapinato alla Marasco; e di un assistente sociale che aveva conosciuto Moslli, giunto a Foggia qualche mese prima del delitto per cercare un lavoro come bracciante, in quanto frequentava un dormitorio cittadino. I due testimoni sono stati sentiti ieri.
Acquisite poi le dichiarazioni di un ucraino che condivideva con Checchia un pianterreno di via Mameli, dove Mosllì si recò subito dopo la rapina per cambiarsi d’abito e spartire il bottino: il teste durante le indagini parlò delle frequentazioni tra i due sospettati. Il pianoterra di via Mameli fu messo a disposizione di Checchia e dell’ucraino da una parrocchia cittadina che l’aveva fittato da una terza persona, come spiegato ieri in aula dal prete citato tra i testi d’accusa: ha aggiunto che Checchia prima di trasferirsi in via Mameli, era solito dormire nel dormitorio dove aveva conosciuto Moslli. Agli atti del processo c’è anche un’intercettazione telefonica dell’8 settembre 2023 tra Checchia (la magistratura dispose le captazioni a carico di quest’ultimo dopo la confessione e chiamata in correità di Moslli) e il sacerdote: il foggiano chiese: “credi alle mie parole”; il prete rispose di credergli e gli consigliò di recarsi dai carabinieri e raccontare la verità.