Sabato 06 Settembre 2025 | 14:18

Foggia, il pizzo negli appalti della sanità. Il verbale del pentito: «D’Alba pagava»

 
Massimiliano Scagliarini

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Massimiliano Scagliarini

Foggia, il pizzo negli appalti della sanità. Il verbale del pentito: «D’Alba pagava»

«2.500 euro ogni tre mesi. I Moretti mi dissero che i soldi sono arrivati almeno fino al 2018. Volevano fare un’estorsione al Don Uva»

Venerdì 21 Giugno 2024, 12:42

FOGGIA - Michele D’Alba pagava «2.500 euro ma poi si è lamentato perché gli affari andavano male e gli hanno abbassato la tangente». È quello che il 22 febbraio il pentito Giuseppe Francavilla, ritenuto il cassiere dell’omonimo clan, ha messo a verbale davanti alla pm della Dda, Bruna Manganelli, a proposito dell’imprenditore di Manfredonia cui fanno riferimento le cooperative Tre Fiammelle e Lavit, la prima attiva nel global service e la seconda titolare dell’appalto da 170 milioni del «lavanolo» (materassi e biancheria) per le Asl pugliesi. Entrambe hanno ricevuto un’interdittiva antimafia dalla prefettura di Foggia, proprio per via della ritenuta vicinanza dell’imprenditore alla criminalità organizzata.

Lo stralcio del verbale di Francavilla (166 pagine in cui si parla soprattutto di fatti di sangue) è stato depositato nel fascicolo chiuso ad aprile nei confronti di D’Alba per favoreggiamento con l’aggravante mafiosa. L’imprenditore è accusato di aver negato di aver pagato il pizzo al clan Moretti, nonostante il suo nome sia stato trovato nella «lista delle estorsioni» della criminalità organizzata foggiana e nonostante le intercettazioni in cui si parla esplicitamente delle richieste estorsive ai suoi danni. Per questo la Dda ha chiesto il rinvio a giudizio.

Le parole del pentito supportano l’impostazione accusatoria, partita dalle intercettazioni della Squadra mobile di Foggia nell’inchiesta Decima Azione. «L’ho conosciuto nel 2013 e sapevo che pagava - ha messo a verbale Francavilla a proposito di Moretti-. Lui è inserito nella lista dei tre mesi che hanno i Moretti. Io con lui volevo iniziare un’attività per aprire una lavanderia industriale. Lui all’epoca aveva la ditta di pulizie Tre Fiammelle. D’Alba mi disse che era un’ottima idea ma ci voleva un po’ di tempo. Poi sono stato arrestato per l’estorsione al bar Serano e quando sono uscito ho saputo che l’aveva fatta lui la lavanderia». L’estorsione messa a segno dai Moretti sarebbe durata, sempre secondo il pentito, «fino al 2018». Come fai ad affermarlo?, gli chiede la pm. «Perché arrivavano i soldi dei tre mesi».

La Dda ha chiesto al pentito anche del Don Uva, la struttura sanitaria rilevata da una cordata di imprenditori di cui (all’epoca) faceva parte anche D’Alba. «Lui era socio... Era entrato in società con Telesforo se non sbaglio. Loro presero il Don Uva e i Moretti si interfacciarono con noi, con me, per dire: “Dobbiamo fare l’estorsione a Telesforo”, ed io gli dissi: “Lasciate stare perché come vi avvicinate vi fa arrestare”. Dice: “No, la dobbiamo fare”. “E fatela”. E poi sono stati denunciati, se non sbaglio, che subito dopo siamo stati arrestati noi».

Il riferimento di Francavilla è probabilmente a Ernesto Gatta e Francesco Tizzano, presunti affiliati dei Moretti, arrestati e già condannati (10 e 14 anni) per un tentativo di estorsione alla Rssa «Il Sorriso» prontamente denunciato. Viceversa D’Alba è accusato di non aver voluto fare i nomi dei due presunti affiliati, a fine ottobre 2017, quando si è presentato in questura a Foggia per denunciare generiche richieste estorsive giunte a suoi familiari spiegando però di non aver mai pagato.

Nell’aprile 2020 anche l’imprenditore di Manfredonia è stato sentito (già da indagato) dalla pm Manganelli, e ha leggermente modificato la sua versione probabilmente perché nel frattempo erano emerse le intercettazioni contenute nell’ordinanza Decima Azione. D’Alba ha infatti ammesso le richieste estorsive da parte di Gatta e Tizzano, incontrati - ha detto - in un bar di Foggia, ma «vi posso assicurare di non aver pagato alcuna somma di denaro». La scorsa settimana Lavit ha chiesto al Tribunale di Prevenzione di Bari di poter accedere al controllo giudiziario, una forma di commissariamento soft. Ma sia la Dda sia la Prefettura si sono opposte, evidenziando la permanenza del rischio di contiguità con i clan e il fatto che la cooperativa sia nei fatti ancora nelle mani della famiglia D’Alba.

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