L'analisi

Educhiamo al rispetto ma lasciamo perdere quelle «leggi maschicide»

Loredana Perla

Con l’articolo 577bis, da ora in poi, l’omicidio di una donna verrà punito con l’ergastolo. Un passo necessario per fronteggiare un fenomeno disumano

Torno a parlare del nuovo patto sociale fra sessi da riscrivere a scuola. E lo faccio richiamando quanto accaduto qualche giorno fa, con coincidenza non casuale, il 25 novembre, nella «Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne»: l’introduzione nel codice penale del reato di femminicidio come fattispecie giuridica a sé stante.

Con l’articolo 577bis, da ora in poi, l’omicidio di una donna verrà punito con l’ergastolo. Un passo necessario per fronteggiare un fenomeno disumano. Un «salto di civiltà» cui plaudire tutti, unanimemente, come unanime è stato il voto parlamentare di approvazione della legge. L’accordo politico a sostegno di tale approvazione non si è, invece, ripetuto nel voto definitivo sulla riforma della violenza sessuale basata sul «consenso libero e attuale». Nuove audizioni e necessari approfondimenti sono stati richiesti. E meno male! Perché questa affrettata approvazione avrebbe prodotto un vero e proprio «maschicidio culturale».

Secondo tale legge, chiunque (pronome demagogico: la realtà dice che sono le donne, in stragrande maggioranza, le vittime di violenze), può tirarsi indietro dopo aver accettato un approccio sessuale. E se si tira indietro, si entra direttamente nella fattispecie dello stupro perché l’atto perde la consensualità.

È facilissimo rilevare il punto di grave debolezza di questa impostazione: l’inversione dell’onere della prova (che tocca, per la maggior parte dei casi agli uomini). Per spiegarlo ricorro a un esempio. In pratica funziona così: Giovanna può ritirare il suo consenso in qualunque momento nel corso della relazione e chiedere a Giovanni di provare che quel consenso, anche in passato, gli era stato dato. In altre parole, Giovanna o Giovanni, possono «sparare» un’assurdità buttando l’uno sull’altra la responsabilità di smontarla, di dimostrare, cioè, che il consenso dato era davvero «libero» e «attuale». Quando, per logica, dovrebbe toccare a chi ritira il consenso l’onere di dimostrare la sua affermazione. Insomma, un pasticcio.

Immagino gli effetti pedagogicamente inquietanti cui l’approvazione di questa legge porterebbe: l’inoculazione nelle relazioni fra i sessi dei virus della diffidenza e della paura. Ve l’immaginate una coppia alle prese coi moduli del consenso informato libero e attuale (carta e penna? File digitali? Firme olografe?) prima di intraprendere quell’incontro d’anime che è l’innamoramento? E mi chiedo: non sarebbe ancor più «protettivo» per le donne, piuttosto che produrre carte bollate, investire in educazione sessuo-affettiva, in educazione finanziaria, in sostegni all’indipendenza economica femminile, nella definitiva eliminazione delle discriminazioni retributive?

Lasciamo perdere le leggi culturalmente maschicide. E insegniamo a scuola e fuori dalla scuola la cultura delle relazioni, dell’empatia e del rispetto reciproco. I cambiamenti culturali passano dalle aule e dall’applicazione delle buone leggi che già esistono. Una l’abbiamo approvata il 25 novembre scorso.

Fermiamoci qui.

Privacy Policy Cookie Policy