L'analisi
Cronicizzare il conflitto: ecco il grande rischio dell’incendio Israele-Iran
Il poeta libanese Kahlil Gibran scriveva ne Il Profeta che la gioia e il dolore sono senza maschera, perché il pozzo da cui scaturisce il nostro sorriso è colmo delle nostre lacrime
Il poeta libanese Kahlil Gibran scriveva ne Il Profeta che la gioia e il dolore sono senza maschera, perché il pozzo da cui scaturisce il nostro sorriso è colmo delle nostre lacrime. Dopo l’attacco di Israele all’Iran ci si dovrà attendere che i pozzi degli uomini, in cui si sono riversate le lacrime di giovani vedove, orfani, soldati sciancati di ritorno dalla guerra, pozzi in cui la comunità ha ritrovato la gioia della pace e il sorriso dopo guerre terminate, rischierà di scoprire completamente essiccate quelle stesse fonti di ricordi e di sofferenze, di catarsi e di salvezza comunitaria: il tripudio della guerra avrà sostituito la gioia della pace.
Una volta mi fu detto da un mussulmano sciita (e l’Iran è il maggior paese mussulmano sciita con Irak, Azerbaigian e Bahrein) che se mai un paese sciita fosse stato attaccato, il mondo intero non avrebbe fatto più ritorno. Ci si può chiedere: ritorno a cosa? A un equilibrio organizzato dalle grandi governance? O forse ci dovremmo imbattere in una sorta di algoritmo entropico che misura la presenza di una stabilità solo in riferimento all’ordine dato dalla guerra? Il recentissimo attacco interno di Israele (del Mossad) in Iran, segue la tattica adottata anche dai sofisticati servizi segreti ucraini alla vigilia della conferenza di pace a Istanbul il 2 giugno scorso: il cavallo di Troia. L’attacco dall’interno a un Paese sciita, non arabo, come l’Iran produrrà alcune inevitabili conseguenze: da un lato ci ritroveremo ad assistere a una reviviscenza dei gruppi sunniti irakeni mai davvero sopiti e che avevano caratterizzato gli anni di guerra dal 2014, quando qaedisti/baathisti difesero il suolo dell’Irak da una doppia invasione, occidentale e soprattutto iraniana, allora guidata dal Generale Qassem Soleimani (esperto torturatore, capo a quel tempo della Brigata Al Qods dei Pasdaran, speciale unità di intervento militare all’estero, poi ucciso per mano statunitense il 3 gennaio 2020). Soleimani riuscì a condurre una mobilitazione della guerra civile non solo in Irak, ma ad estenderla anche in Siria che, pur essendo Paese a maggioranza sciita alawita, rischiava di soccombere a presenze minoritarie sunnite, le quali di recente, grazie anche al forte sostegno turco, si sono imposte e reggono attualmente la Siria di al Jolani.
Le milizie sciite di allora, cioè la Brigata Badr, braccio armato dello Sciri (Supreme Council for the Islamic Revolution in Irak), e la Brigata del Giorno Promesso, erede dell'Esercito del Mahdi di Moqtada AlMahdi, devastarono il Paese sciita in una serie di regolamenti di conti storici e teologici, che non avranno mai fine sino a un giorno di conversione del mondo sunnita e sciita al dialogo storico e interreligioso in grado di liberarli da spazi di ingerenza di civiltà politica e giuridica. Ci si chiede allora che valore abbia questa ricostruzione di vicende risalenti a dieci e più anni fa. Uno dei contraccolpi di questo attacco dall’interno del mondo sciita, operato dal Mossad, richiamerà alle armi contro Israele innanzitutto il Libano, nel quale le presenze fra mondo sunnita, sciita in maggioranza, cristiano-maronita e molte altre, tutte in rapida alleanza e altrettanto repentino mutamento di fronte, provocheranno un’implosione del paese da cui potrà trarre vantaggio proprio la Siria in ostaggio a milizie sunnite. Difficile ritenere che questo attacco dal cuore del mondo sciita non sia avvenuto senza un astuto silenzio del mondo sunnita, specie Arabia Saudita che è poi quasi dire: Usa.
L’amministrazione americana conosceva i dettagli dell’operazione e avrebbe dovuto scongiurare di far esplodere il Medio Oriente, specie Libano e Irak (dove gli Sciiti ritorneranno a inalberare la legittimità di un intervento contro Israele e contro i Sunniti irakeni). Ciò produrrà secondo la misura di un algoritmo entropico, un disordine causalizzato in tutto l’Irak, prima ancora del sollevamento dell’Iran contro Israele e del Libano al suo interno e poi nei confronti della confinante Siria usurpata agli Sciiti, nonché contro Israele. E il mondo occidentale? L’Europa sonnecchia in un cinico addomesticarsi al silenzio, addestrando le giovani generazioni all’oblio o all’insipienza, relegando come conflitti regionali quanto causerà un conflitto molto più esteso e che vedrà man mano crollare certezze economiche smaltate sull’indifferenza e sulla modellizzazione del rifiuto a doversi, prima o poi, incamminare, in un lungo pellegrinaggio, verso la comprensione dell’uomo e del suo dolore, perché la casa in cui abitiamoe quella in cui prenderemo presto domicilio e residenza rivela l’inevitabile presenza e necessità dell’incontro pacifico fra tutti.
Ritornando a Gibran e alla sua opera più nota citata, «ciò che in voi è illimitato abita nella casa del cielo, la cui porta è la nebbia del mattino, le cui finestre sono i canti e i silenzi della notte». Potremo non trovare più nessuno ad osservare dalla finestra la notte ed ascoltarne i canti; potremmo invece annoverare il dolore della pace come un terrificante oblio che si fa della guerra. Nella notte infatti fra il 12 e il 13 giugno proprio il successore di Soleimani, Eslamil Qaani (temibile quanto e forse più del suo predecessore, specie nelle operazioni all’estero) è stato ucciso insieme ad altri capi delle forze armate iraniane e ai principali scienziati impegnati nel programma atomico. Tutto ciò segnerà però anche la ripresa della guerra fra Sunniti e Sciiti, probabile punto di svolta cui mirava Israele dal 7ottobre 2023: lasciare all’algoritmo entropico della guerra di religione fra gli stessi nemici di Israele (Sciiti innanzitutto ma anche Sunniti, questi ultimi aiutando Israele insorgendo contro gli Sciiti per consolidare posizioni acquisite come in Siria o per riprendersi territori in Irak) il disegno di un paradossale ordine mediorientale, ricordando a noi europei che «ordine» in greco si dice kosmos (peraltro ordine di un esercito in battaglia), e kosmos per estensione significa anche mondo, appunto l’ordine di un mondo, non più ebraico e mussulmano, cristiano e di pace, ma israeliano sul mondo islamico, mondo islamico in paradossale soccorso nei confronti di Israele rinfocolando antichi e mai sopiti conflitti fra Sunniti e Sciiti. E presto ciò avverrà sotto un’egida militare internazionale, grottesca, inutilmente targata: Onu.