L'analisi
Inchieste e polemiche, sempre più urgente una legge sui partiti
«Il potere è altrove: non è nel consiglio comunale, non è nel Parlamento della Repubblica. Il potere è sempre altrove»
«Il potere è altrove: non è nel consiglio comunale, non è nel Parlamento della Repubblica. Il potere è sempre altrove». L’insegnamento di Leonardo Sciascia pare adattarsi al territorio pugliese. Lo attestano recenti inchieste giudiziarie riguardanti politici locali e regionali. Forti delle preferenze ottenute nel corso di consultazioni elettorali, vantano un’impressionante lista di incarichi. Li vediamo così impegnati nella gestione di appalti comunali, dei trasporti, della mobilità sostenibile, dello sviluppo economico, delle politiche giovanili, dei rapporti internazionali, del commercio estero, dell’energia, delle reti infrastrutturali, della ricerca, dell’innovazione, dei fondi europei per lo sviluppo e la coesione. Si ipotizzano nei loro confronti la tenuta di condotte che, penalmente rilevanti, darebbero conto di un malsano sistema di potere. Il quale, complice anche la riforma del Titolo V della Carta, sembra oggi privilegiare il livello decentrato di partecipazione democratica.
Quello, ad esempio, alimentato nell’esuberante bellezza della «Bari bene» o nella placida atmosfera delle località salentine, presso le quali, a detta degli inquirenti, abbondano disinvolti imprenditori, spigliati faccendieri e organiche accademie. Qui le liturgie e i rituali istituzionali servono non di rado da supporto per pratiche clientelari, come definite «altrove». Cioè a dire, negli ambienti che, diversi da quelli democraticamente stabiliti, non escludono costosi ristoranti, lussuose vacanze, feste sgargianti, party esclusivi e circoli selettivi.
Fossero confermate, le ipotesi accusatorie incarnerebbero le tipiche movenze del mercato politico e capitalistico italiano. Che, privilegiando radicati nepotismi e un improprio sistema di relazioni personali e famigliari, tende a svilire i talenti e a consumare rovinosamente l’interesse generale. E lo fa con l’indegna complicità dei partiti che, incapaci di autoregolamentarsi, si espongono con sempre maggiore frequenza agli interventi della magistratura. Salvo poi gridare allo scandalo per l’ipotetico uso politico e mediatico della giustizia per la quale, va pure osservato, non mancano i tifosi della sponda opposta. Quelli che, sin dai tempi di tangentopoli, tendono a santificare il lavoro dei giudici elevati, se del caso, a infallibili sacerdoti della Costituzione, se non anche della moralità collettiva. Di qui le propensioni e le posizioni di retroguardia di una parte della magistratura rispetto alle necessità di riforma. A cominciare da quelle evidenziate con le degenerazioni del correntismo che, come sottolineato dal caso Palamara, ha contribuito a ridimensionare il grado di fiducia della popolazione nei confronti dei giudici.
D’altra parte, la politica risponde con slogan e interventi che, tenendosi assieme in un quadro di cinici interessi speculativi, evidenziano l’opaca qualità dei suoi protagonisti. I quali si guardano bene dal risolvere i propri problemi interni legati, tra gli altri, all’articolo 49 della Costituzione che, attribuendo ai cittadini il «diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale», è rimasto sostanzialmente inattuato. Lo è soprattutto con riferimento alle domande civilmente rilevanti della vita infrapartitica: chi sono gli iscritti? Quali sono i loro diritti e doveri? Come vengono selezionate liste e candidature? Come è disciplinata l’incapacità e l’ineleggibilità? Quali sono le regole per il rimborso, il finanziamento e la comunicazione politica? Ne consegue l’urgenza di un provvedimento legislativo, tanto più importante in questa fase storica, in cui i partiti sono sempre meno capaci di filtrare interessi particolari e corporativi. I quali, come dimostrano le cronache pugliesi, tendono a interagire direttamente con le rappresentanze pubbliche, aggirando gli ordinari recinti istituzionali.
Insomma, una legge sui partiti non avrà certo l’impatto risolutore rispetto a diffusi e, per molti versi, fisiologici malcostumi, compresi quelli dettati dal voto di scambio. Ma, quantomeno, potrà favorire una competizione politica più trasparente e incentrata sui programmi e sulle proposte di governo, ovvero meno esposta a indebite pressioni. Lo sono quelle che, nella quotidiana e fallibile fatica dell’esperienza, finiscono per tradire i principi costituzionali del libero mandato e di un potere esercitato entro confini democratici più chiari, certi e stabili.