L'analisi
Cito precursore del berlusconismo: fu interprete della città dei diseredati e dominus del binomio politica-media
Precorre, altresì, i movimenti politici sbilanciati sul civismo e sull’indebolimento della democrazia rappresentativa a favore di quella diretta
Nel suo saggio Fumo sulla città (2013) il compianto Alessandro Leogrande scriveva che per i forestieri Giancarlo Cito è un «monstrum inclassificabile», identificato dai vari commentatori dell’epoca come «nuovo Duce, Masaniello redivivo, Le Pen dello Ionio, caudillo sudamericano». In effetti, l’ex primo cittadino di Taranto scomparso sabato a 79 anni, per essere compreso a fondo, necessita di una sufficiente dose di «tarantinità», circoscritta soprattutto al periodo storico in cui Cito agì non solo a livello politico, ma soprattutto mediatico. La parabola citiana, pur collocandosi tra la seconda metà degli anni Ottanta e l’inizio del nuovo millennio, trova nel decennio Novanta la sua significativa consacrazione. L’Italia si sta destrutturando politicamente a seguito di Tangentopoli e i partiti tradizionali sono in crisi tanto che è ormai evidente la frattura tra istituzioni e paese reale. Cito non solo cavalca quest’onda di malcontento, ma in un certo senso la anticipa, scagliandosi contro le amministrazioni comunali precedenti, colpevoli a suo dire di aver ridotto la città alla sbando. Taranto in effetti è lacerata dalle guerre di mala che sfibrano un tessuto sociale già straziato dal degrado ambientale. La crisi diventa, quindi, un’opportunità per l’emersione di personalità forti in cui credere e a cui dare consenso elettorale. Giancarlo lo comprende prima degli altri e fonda nel 1985 l’emittente Antenna Taranto 6. Sono gli anni della fine del monopolio della Rai e dell’affermazione delle tv commerciali nazionali e locali. Il loro successo è dovuto alla rottura dei limiti imposti dal Servizio pubblico. Non più soltanto pubbliche virtù, ma vizi privati come dimostrano (nel caso dei canali locali) le programmazioni occupate di giorno dalle televendite e di notte da linee erotiche e film pornografici. AT6 sceglie anche questi contenuti per finanziare i video-comizi del suo fondatore. Cito davanti alla telecamera è suo agio, usa un’oratoria combattiva, non perdendo mai di vista il pubblico: non la cosiddetta «Taranto Bene», ma la pancia popolare figlia dell’Italsider e della disoccupazione. A loro si rivolge con un copione fatto di argomentazioni interrotte da improvvisi picchi comunicativi, spesso conditi dall’uso sapiente del dialetto e del turpiloquio. La sua comunicazione politica, però, va oltre gli studi televisivi e spesso si trasferisce in Piazza della Vittoria, sede delle sue adunate al grido di «Cito! Cito!» dei supporter, o nel mar Piccolo dove compie nuotate per denunciarne l’inquinamento e lo stato di abbondono. Il tutto ripreso sapientemente dalle cineprese di At6, messo in onda ossessivamente ed enfatizzato dalla canzone di Lucio Dalla «La sera dei miracoli». L’attività telepredicatoria gli varrà una sfilza di poltrone (sindaco nel 1993, presidente del Taranto Calcio nel 1995, deputato nel 1996) e di candidature come quella al comune di Milano nel 1997 (in cui annunciò di voler tarantinizzare il capoluogo lombardo) e alla Regione Puglia nel 2000 dove racimolò solo una manciata di voti. Indipendente dai successi o dai flop, Cito diventa un’icona tanto popolare da arrivare alla ribalta nazionale. Lo capì pure Giuliano Ferrara invitandolo nel 1992 nella sua trasmissione L’istruttoria insieme a celebrities del calibro di Gianfranco Funari, mago Otelma e Moana Pozzi. Gli anni 2000 coincidono con l’inizio della decadenza causata dai problemi giudiziari e dall’impossibilità di candidarsi direttamente, che non gli eviterà incursioni saltuarie in spazi di informazione nei quali rivendicava il vitalizio da deputato tolto a causa della condanna. Quanto scritto sintetizza estremamente la vita di Cito, ma lo colloca senza dubbio tra i precursori del binomio media-politica. Anagraficamente Cito è anticipatore del Berlusconismo e della leadership politica contemporanea ormai inefficace se priva di carisma e capacità comunicativa. Precorre, altresì, i movimenti politici sbilanciati sul civismo e sull’indebolimento della democrazia rappresentativa a favore di quella diretta. Non è un caso che la principale trasmissione sulla sua rete si chiamasse proprio Filo Diretto. Ed infine precede il fenomeno - favorito dalla cultura digitale - della disintermediazione che ha favorito una sorta di legge politica del più forte, alimentando populismi e sovranismi. Sarebbe retorico definirlo un Berlusconi o un Trump ante-litteram, eppure nella sua vita contrassegnata da profonde oscurità, è stato possibile intravedere uno spicchio di realtà futura. Non è un caso che Mario Desiati nel romanzo Il paese delle spose infelici così lo racconta: «Ho sottovalutato per anni quel comizio. Avevo assistito a un momento storico, storia locale forse, ma avevo visto nascere un certo tipo di potere autoritario e osservato quale fascino emanasse. […] Aveva indosso il fascino fatale dell’inadeguatezza».