L'analisi
Giustizia, eterna riforma, ma i tempi dei processi e le carriere restano lì
Non c’è dubbio che la manovra della destra al governo sulla giustizia sia una componente del complessivo disegno di riscrivere e stravolgere la Costituzione, che, per la verità, la destra meloniana non ha mai digerito
Si fa un gran parlare in questi giorni (e la «Gazzetta» ne ha fatto un servizio di due pagine con interviste autorevoli) di riforma della giustizia con riferimento al disegno di legge del Governo all’esame delle Camere.
Veramente se ne parla da sempre. Quando cominciai a fare l’avvocato, long time ago, la prima cosa che feci fu partecipare con l’entusiasmo del neofita a un convegno sulla riforma della giustizia. Poi ne ho organizzati io una decina, ho scritto decine di articoli, ho partecipato a centinaia di eventi sul tema. Ma ad onor del vero, non è cambiato molto, come è agevole riscontrare. La situazione, se possibile, è infatti peggiorata e peggiora.
Le questioni di cui si discute, peraltro, riguardano problemi ordinamentali, non la giustizia spicciola di ogni giorno, quella che interessa ai cittadini. Per dire, qualche giorno fa, un mio amico è stato assolto dopo 11 anni di processo in primo grado, con formula piena (e su conforme richiesta del pm!), da un reato e per una vicenda che, esaminata con un minimo di buon senso (che, come è noto, è una precondizione del diritto), risultava palesemente infondata. Il mio amico ha dovuto attendere invece 11 anni, con danno alla carriera, all’immagine, all’autostima e, last but non least, al portafogli. Peggio ancora per le cause civili, anche a seguito di riforme (vedi Cartabia) redatte da studiosi insigni ma che raramente hanno messo piede nei Tribunali. Senza mai tener conto, poi, del parere degli avvocati, che sono peraltro i più interessati alla brevità dei processi e all’efficienza del sistema. Credo siano questi problemi che interessano la gente e non la separazione delle carriere e il sorteggio del Csm, questioni che appassionano solo gli addetti ai lavori.
Detto questo come premessa, non c’è dubbio che la manovra della destra al governo sulla giustizia sia una componente del complessivo disegno di riscrivere e stravolgere la Costituzione, che, per la verità, la destra meloniana non ha mai digerito.
La separazione delle carriere, secondo me, non avrà grandi ripercussioni perché è già nei fatti, essendo consentito un solo passaggio. Sarebbe più utile, invece che separarle, integrare le carriere, per esempio prevedendo che i magistrati, prima di assumere la funzione di pm, debbano fare qualche anno nel settore civile e nei collegi giudicanti. La battuta migliore sull’argomento l’ho letta, credo, sul Foglio dove un giornalista (Giuliano Ferrara?) sosteneva che l’unica utile sarebbe la separazione della carriera dei pm da quella dei giornalisti.
Per quanto riguarda il sorteggio del Csm, su cui Gianni Di Cagno ha scritto un articolo sulla «Gazzetta», gli ho detto di essere con lui «completamente d’accordo a metà» (come il calciatore della famosa intervista alla Domenica Sportiva di anni addietro). Completamente d’accordo perché è una norma incongrua che mette in discussione il principio di rappresentatività in un organo elettivo (si può eleggere un sindaco a sorteggio?) così alterando l’equilibrio dei poteri previsti dalla Costituzione. D’accordo a metà perché questa situazione ce la siamo cercata.
Negli anni in cui il centrosinistra ha governato, non è stato capace di riformare un organo che dava adito a evidenti criticità per la gestione delle nomine, spesso oggetto di logiche correntizie ed anche per questo effettuate con grandi ritardi che si ripercuotono sull’efficienza degli uffici giudiziari (perché non prendere esempio dalla vituperata scuola in cui le nomine si fanno, tutte insieme, una volta l’anno, a settembre. La continua didattica vale più di quella processuale? Le assenze degli insegnanti sono più perniciose di quelle dei giudici?).
Ovviamente non è in discussione il ruolo delle correnti nella dialettica e nel confronto delle idee, quanto la gestione, diciamo così, esageratamente corporativa dell’organo e la sostanziale lottizzazione delle nomine.
Il presidente della Corte d’Appello, il dottor Franco Cassano, che è persona di grande onestà intellettuale, nella sua intervista a questo giornale ha ricordato gli interventi sul punto di Luciano Violante.
Queste cose il PCI, nella Commissione Giustizia diretta da Luciano Violante in cui ho militato lunghi anni, quindi il Pds e poi il Pd le hanno dette da sempre, ma non sì è riusciti a farne mai niente. Ed anche la magistratura qualche autocritica la deve fare, essendosi sempre pronunciata a difesa dello status quo, sospettosa di qualsiasi riforma. E se non c’è questa capacità e lungimiranza di autoriformarsi, c’è sempre chi poi la riforma, la impone naturalmente in peius. È una legge inesorabile ed è inutile lamentarsi ex post.
Al momento il pallino ce l’ha la destra al potere. Ha la maggioranza e quindi il governo prova a fare la riforma che vuole. Non un atteggiamento istituzionalmente corretto, intendiamoci, ma la legge di chi, al momento, è il più forte.
L’unica cosa seria che si può fare è quindi mandare a casa il governo. E fare poi un’altra riforma, tanto non si legifera più sub specie aeternitatis , che è comunque necessaria, ma farla, e in maniera corretta e coinvolgendo le opposizioni come si conviene per riforme ordinamentali. In democrazia le regole sono, o sarebbero, queste.