L'analisi

Revisione della spesa e stop a mance e mancette, così si abbatte il debito

Nicola Rosato

L’offerta di titoli di debito pubblico coperta da una domanda largamente superiore, come nel caso delle recenti emissioni di BT Valore, raccoglie commenti compiaciuti. Ma..

L’offerta di titoli di debito pubblico coperta da una domanda largamente superiore, come nel caso delle recenti emissioni di BT Valore, raccoglie commenti compiaciuti. Ma è un compiacimento consolatorio e dannoso, specie quando lo Stato ricorre al debito per spese ordinarie correnti, neppure sempre utili o socialmente necessarie che saranno compensate da maggiori imposte fiscali.

Lo spiegava più di un secolo fa Francesco Saverio Nitti nel suo trattato di Scienza delle finanze (Luigi Pierro editore, Napoli 1905). Se non vi fosse il debito pubblico che crea rendite finanziarie - ragionava Nitti con argomenti di straordinaria attualità - chi avesse risparmio disponibile si orienterebbe ad investire in attività economiche più o meno vantaggiose e tutti i cittadini, quelli che possono investire e quelli che non possono, non pagherebbero le imposte per remunerare il debito. E Dio sa quanto in Italia ci sia bisogno di capitali privati per sostenere le politiche industriali.

Quest’illusorio compiacimento annichilisce il dibattito politico sulla necessità, sempre più urgente, di creare condizioni concrete per alleggerire la pressione fiscale che cittadini, famiglie ed imprese oggi sopportano. Per avere un’imposizione fiscale più bassa c’è soltanto una strada: non aumentare il debito e ridurre il debito consolidato; che significa ricomprare lentamente i titoli in circolazione ed annullarli. Altro è - infatti - il tema ricorrente di un più basso rapporto tra debito e prodotto interno lordo, che migliora la sostenibilità del debito, ma non significa riscattarlo.

Da dove cominciare? Bene vendere asset pubblici non strategici se effettivamente serva ad ammortizzare il debito. Ma ridurre il debito consolidato richiede durature e severe politiche di bilancio che sono possibili soltanto con meccanismi operativi che impediscano, tanto per cominciare, il formarsi di ogni rivolo di spesa clientelare.

Un tempo ormai lontano i parlamenti non avevano il potere di modificare il bilancio preventivo presentato dal governo. Gladstone (1809-1898), primo ministro liberale del Regno Unito, diceva che l’iniziativa in materia di bilancio spetta al governo; spetta invece al parlamento di concedere o negare l’approvazione del bilancio, non di modificarlo. Ed è un principio democratico conforme alla separazione dei poteri.

In quegli Stati in cui i parlamenti hanno conquistato il diritto di emendare i bilanci presentati dal governo il rigore della finanza pubblica ha ceduto il passo al lassismo dei deputati che inseguono popolarità e consenso elettorale. L’esperienza che ricaviamo dalle nostre leggi finanziarie, infarcite di mance e mancette, docet.

Ciò che Gladstone sosteneva è, però, un retaggio che sopravvive nei princìpi internazionali e del nostro codice civile per la gestione delle imprese, private o pubbliche che siano: la gestione spetta esclusivamente agli amministratori. Quali amministratori di un’impresa farebbero emendare il budget di esercizio dall’assemblea dei soci mantenendo la responsabilità dei risultati? Timidi approcci per ripristinare questo principio per il bilancio di previsione dello stato furono già fatti nella prima Repubblica, ma non raggiunsero lo scopo. Tuttavia riprendere la questione, che (prevengo l’obiezione) non vulnera princìpi costituzionali, è forse utile per una pubblica amministrazione più efficiente e per il ruolo stesso delle opposizioni parlamentari che, come stanno le cose, devono controllare spese spesso stanziate su loro iniziativa.

E sarebbe utile accompagnare questa piccola riforma con una permanente spending review, sul modello dell’antica repubblica Veneta, presso la quale agivano in modo permanente gli «scanzadori delle spese superflue» - antesignani dei nostri occasionali commissari per la revisione della spesa - che avevano la funzione di scovare ogni economia possibile in tutte le pubbliche amministrazioni. Una revisione della spesa permanente, però; non occasionale.

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