la riflessione

Altro che confronto, ormai opporsi vuol dire «annullare» l’altro

Alessandra Peluso

È pressoché illusorio pensarlo visto che quando esiste un momento oppositivo l’individuo tende a considerarlo un ostacolo da eliminare. Un inciampo

La storia del pensiero filosofico insegna come l’opposizione sia essenziale alla vita. Giova alla creazione. Comporta creatività, vitalità. Converge alla conciliazione e al benessere dell’uomo. Ci è stato insegnato da Eraclito a Hegel e nella modernità in particolare da Simmel, secondo il quale la contraddizione abita nell’Io che deve nel corso della sua esistenza conciliare e risolvere, seppur in una condizione provvisoria è necessaria in quanto funge da limite e assunzione di coscienza e responsabilità. Ma quanto tutto ciò calato nella realtà sociale, politica, è davvero esperienza e corrisponde al vissuto di ciascuno?

È pressoché illusorio pensarlo visto che quando esiste un momento oppositivo l’individuo tende a considerarlo un ostacolo da eliminare. Un inciampo. Si evince una realtà distopica, se vogliamo, non appartenente né al singolo in ambito etico né tanto meno in quello politico, dove - è noto - l’opposizione consiste per lo più in un fastidio che passa come un raffreddore, talvolta anche meno fastidioso di un sintomo influenzale. L’umano è diventato passivo perfino a sé stesso, alla vita, ne ha distorto il significato originario, il valore che l’opposizione genera: libertà, cultura.

Sul piano teorico, attraverso l’opposizione, l’Io si manifesta libero di essere e lo fa con il linguaggio, il dialogo, l’ontologia dell’ente. Se con Heidegger la parola è la casa dell’essere, nella contemporaneità sembra che il rifugio degli esseri sia diventata la violenza e lo strumento di espressione l’arma. È importante allora soffermarsi e riflettere insieme su ciò che è vitale, ma che è stato trasformato in mortale. Opporsi a qualcuno sembra significhi avere un nemico da abbattere, stessa dinamica che si attua in guerra: per questo si parla di aggressore e aggredito e non di soggetti che pretendono entrambi la stessa «cosa». La stessa imposizione. Mentre, l’opposizione è un momento dialettico democratico che comporta l’ulteriore passaggio della risoluzione, non di certo eliminando sé stessi, né l’alterità, semmai giungendo a conciliarsi con la parola, il dialogo che arricchisce e genera cultura.

Un esempio concreto, che forse potrà sembrarvi banale, è relativo a una quotidiana conversazione tra due o più interlocutori dove ciascun membro parla per aver ragione, come se si erigesse ad avvocato o giudice, la maggior parte delle persone parla per «avere la ragione», (orripilante!), per imporre sé stesso all’altro oppure si pone come difensore, simpatizzante, o attaccante, in definitiva attua il comune linguaggio calcistico. Crolla il processo dialettico etico, democratico: si evince un profondo e ancora (purtroppo) modello vincente dell’Io contro l’Io che lo annulla in un non-io senza possibilità di risoluzione ma con un meccanico gesto egoistico, id-iota, di prevaricazione dell’altro.

Parlare, conversare, dialogare è ben altro: tale tipo di relazione avviene quando insieme si giunge a esprimersi ragionevolmente privandosi delle proprie pretese e ponendo come momento centrale l’ascolto, l’altro. L’arte del comunicare si costruisce tessendo ragionamenti e arricchendosi insieme per giungere a una conciliazione, ove possibile, o a una reciproca tolleranza. Questo in fondo significa anche «Democrazia» tollerarsi e non ignorarsi - attenzione - bensì conoscersi e apprezzarsi per ciò che si è, si rappresenta, o si è riconosciuto. L’opposizione come quella politica può essere acerrima: è opportuno dar vita ad argomentazioni acute che non costruiscano menzogna, semmai il contrario, verità; che non siano frutto di maschere da palcoscenico, ma di soggetti capaci a indurre l’altro a fermarsi e ad ascoltare, a rivolgere lo sguardo al proprio interlocutore e a comprendere. A interrogarsi, a essere condotto a risolvere una questione, o delle problematicità.

Opporsi, in sintesi, non significa morire, ma vivere: essere straordinariamente vivi, soggetti pensanti, liberi, dotati di parola e di responsabilità verso le proprie contraddizioni e a riconoscere finanche quelle dell’altro. Questa è una grande lezione lasciataci dalla Storia, da un essere umano che sembra oggi abbia smarrito sia il suo essere uomo, nel pensarsi uomo, che nel manifestarsi come tale.

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