L'analisi
La libertà è il ponte per raggiungere l’altro e ci fa... ri-nascere
Essere liberi, allora, dai giudizi, e innanzitutto da sé stessi è complicato quando la parola non contiene l’alterità
Come si può essere liberi in una realtà costellata da guerre, da conflitti dove le libertà sono violate? E come è possibile esserlo nelle relazioni affettive, o ancora, quando si rivestono ruoli istituzionali?
Comprenderete le difficoltà che sorgono affrontando tali problematiche, valicando quella linea di confine non di terra e cielo, ma di terra in sola misera terra, vale a dire superare quel «vincolo» che distingue il privato con il pubblico, la professione, sé stesso con il proprio riflesso. Dalle contraddizioni e conflitti verbali che spesso dividono e fomentano odio, alle guerre che oramai riguardano l’umanità: l’Occidente, l’Oriente. Di questi tempi la condizione della nostra cara Italia sembra sia un po’ quella del funambolo, che a fatica sta in equilibrio, affaticata e tormentata da parole di odio, di paura, di rottura, sintomo di instabilità e incertezze. Tra menzogne e virtuosismi verbali che lasciano adito a ovvie conclusioni. È facile in tali scenari lasciarsi andare a giudizi.
Essere liberi, allora, dai giudizi, e innanzitutto da sé stessi è complicato quando la parola non contiene l’alterità. Quando l’individuo smarrisce il proprio senso dell’esistere (accade ad esempio all’Ulisse raccontato da Alessandro D’Avenia nel romanzo Resisti, cuore) o quando non si è capaci di «nascere». La libertà si qualifica anche come facoltà che ci rende capaci di dare forma aurorale alla vita, imprimendo una curvatura nuova, quale marchio dell’unicità personale, alla fisionomia del mondo (M. Magatti). Ebbene ri-nascere, ri-tornare, includono l’opportunità di essere liberi. Tuttavia, è essenziale «de-mercificare la libertà»: compito che spetta a ogni essere umano, a ciascun cittadino. La libertà non deve diventare una merce di scambio. La vita non comporta un surplus di profitti. Non comporta maschere nelle relazioni, nei rapporti diplomatici… eppure. Assistiamo a un ballo in maschera quotidianamente: sai e fai finta di non sapere, o «sai di non sapere», parafrasando Socrate, o ancor peggio l’ego diviene talmente invadente che pervade la persona, soffocando perfino quel primitivo stadio di coscienza. Accade. Siamo limite.
Eppure - dicevamo - la libertà è il fil rouge dell’uomo. É il ponte, la porta per raggiungere l’altro. La politica deve garantirla. È una necessità inalienabile per la vita umana, sia per la vita del singolo che per quella della società, poiché l’uomo non è autarchico, dipende dall’esistenza degli altri. Il compito e il fine della politica è tutelare la vita nel senso più ampio del termine, evitando nello specifico le guerre. Si può. Non occorre dichiararsi pacifisti, basta amare la parola e tenere a bada quei sentimenti di odio, di prevaricazione, di vendetta, di risentimento. Amare la parola significa, in sintesi, amare la vita: è sufficiente ricordare il logos delle Sacre Scritture, la parola che si fa carne (non disossata). Che è anima e corpo. Vive. E allora comprenderete che il risentimento (invito a leggere La società del risentimento, di Stefano Tomelleri) in fondo cos’è, se non il sentire ripetutamente parole che diventate evento, narrano un vissuto di vendetta nei confronti dell’altro, di sé stesso: vendicare ciò che vorresti essere e non sei, o ciò che avresti voluto si verificasse ma i tuoi limiti non lo hanno permesso. In tal caso, la terapia della parola potrebbe aiutare a correggere relazioni affettive e a rendere meno instabili i ruoli istituzionali. Forse riconoscersi dei limiti gioverebbe. Il limite della libertà è la responsabilità.
È vero che la libertà si concretizza nella pluralità, nella politica, quando con essa convive la responsabilità di essere, di agire. Quando a dominare non è la legge del più forte. Bensì, la legge: la giustizia in corrispondenza con norme etiche che implicano in una democratica tolleranza. La tolleranza risiede nel riconoscere l’altro, nel saperlo comunicare con parole eque. Entra in crisi la «libertà democratica» quando questa restringe gli spazi, quando vengono marcati i confini e questo si verifica non esclusivamente in regimi totalitari o soprasseduti da guerre, ma finanche nelle democrazie occidentali contemporanee e in tali costellazioni gli interrogativi da porsi risultano numerosi così come urgente è il dovere di risolverli. Ciò avviene però soltanto quando si vuole vincere l’ignoranza, la propria, e quella di altri uomini, cittadini, popoli. Forse in tal caso riprendere le parole del Maestro Dante Alighieri non nuocerebbe alla salute di nessuno, semmai aiuterebbe a ricercare la salvezza. Combattere l’ignoranza per risolvere un conflitto che spesso diventa motivo di conflitto e di conseguenza motivo di ignoranza: agli uomini «che, mossi dalla passione abbandonata la luce della ragione, vengono travolti quasi come ciechi dal sentimento e negano con ostinazione la loro stessa cecità. Così avviene spessissimo che non solo la falsità si fa strada, ma – come al solito – coloro che escono dai propri confini corrono in territori che non sono di loro competenza; dove nulla intendono, e in nulla sono intesi; e così suscitano l’ira di alcuni, lo sdegno di altri, e il riso di molti» (Dante, Monarchia).