L'analisi
La sfida dei «Chatbot», un’opportunità oppure un rischio?
Se ChatGpt ne è la più popolare applicazione, l’universo chatbot è ricco di numerose altre soluzioni che consentono di simulare la conversazione scritta e parlata con un essere umano attraverso tecniche di apprendimento automatico
Quello dei chatbot è senza alcun dubbio uno dei fenomeni sociali e tecnologici di maggior interesse di questa porzione di anno.
Se ChatGpt ne è la più popolare applicazione, l’universo chatbot è ricco di numerose altre soluzioni che consentono di simulare la conversazione scritta e parlata con un essere umano attraverso tecniche di apprendimento automatico.
Il loro merito è stato quello di aver sdoganato il tema dell’intelligenza artificiale portandolo all’attenzione del grande pubblico, consentendo così a questa sfidante tecnologia digitale di travalicare gli ambiti di azione di informatici ed esperti di trasformazione digitale.
Come ogni tecnologia dirompente, la sua diffusione si accompagna a cori di entusiastici utilizzatori ma in egual misura ad osservatori spaventati, che sollevano perplessità di carattere etico, giuridico e sociale.
Questione di tecnofobia, come del resto è piena la storia dell’innovazione a partire dalla prima rivoluzione industriale ad oggi.
Ma non tutte le paure sono infondate e, nell’attesa di capire se la battuta di arresto nel numero di utenti del servizio ChatGpt registrata nei primi giorni di luglio sia già rappresentativa di un disinnamoramento, una riflessione sulla maniera con cui possiamo servirci al meglio di queste tecnologie resta di per sé sempre un utile esercizio di ragionamento.
Con l’obiettivo di non cedere al timore pregiudizievole che ne ammanta la notorietà, quanto piuttosto di trovare una strada che consenta di restare umani pur servendoci della tecnologia, può essere utile ragionare su una delle più grandi capacità intellettive di cui il genere umano è dotato: il dubbio.
Attingendo dal pensiero filosofico antico e moderno, il dubbio è, infatti, a partire da Socrate e Platone, chiave di accesso alla verità, un esercizio intellettuale intimo e coraggioso grazie al quale poter scoprire nuove certezze.
La prospettiva cristiana della filosofia di Agostino d’Ippona non ne limita il valore ma anzi lo identifica come esperienza interiore utile a identificare il vero, pur senza sottovalutare le insidie di un dubbio permanente che sfocerebbe nell’agnosticismo. Cartesio ne consacrerà il valore come metodo per giungere alla conoscenza e grazie al quale costruire nuovo sapere, mentre arrivando a tempi più recenti, per Karl Popper la sua assenza è limite alla inconfutabilità della teoria stessa e, dunque, esso è la prova che una certa teoria sia vera.
Tornando, al tema dei chatbot, qual è, dunque, il ruolo del dubbio nella gestione delle loro intelligenti ma artificiali elaborazioni? E perché esso può rappresentare un rimedio salvifico al pericolo di disumanizzazione?
Così come richiamato nei brevi cenni di sapere filosofico, pur consapevole di essere lontano da una sua esaustiva trattazione, il dubbio è rispetto a quanto proposto da questi intelligenti sistemi di interfaccia conversazionale ancora strada di consapevole ricerca del vero, esercizio critico e verifica dell’attendibilità di quanto proposto, certificato di garanzia del prevalere della saggezza umana su quella artificiale.
È grazie al dubbio che l’intelligenza artificiale può realmente esserci d’aiuto, offrendoci la possibilità di scegliere tra elaborazioni testuali alternative da sottoporre al vaglio della nostra ragione al fine di identificare la soluzione che meglio rappresenti il nostro pensiero. Purché se ne abbia uno e non si decida di voler rinunciare a quella che è l’essenza del nostro essere umani.
Si, perché che ci piaccia o no, è il nostro pensare (dunque il nostro essere) e la sua articolazione in ricerche web, preferenze, interlocuzioni e scritti ad offrire a questi software contenuti da analizzare e rielaborare. Materia prima preziosa per l’incessante progresso tecnologico, ma ancor di più per lo sviluppo di offerte di prodotto e servizio costruite a misura di utente.
Ne scaturisce che la tanto decantata intelligenza dei servizi chatbot poco possa fare rispetto alla superficialità di intenti e contenuti dell’utente interrogante. In una sorta di “specchio delle mie brame”, saremo noi e ancor di più i nostri contenuti ad istruire questo strumento di conversazione consentendogli di apprendere da noi e dalla rete di informazioni e contenuti che condividiamo in contesti reali e virtuali.
Tale posizione, niente affatto preconcetta rispetto alle opportunità della tecnologia, è fondata sulla certezza che davanti al processo di digitalizzazione che pervade le nostre vite, sia ancora necessario nutrire l’anima allenando mente e pensiero critico. E che se formare e formarsi in ambiti scientifici, ingegneristici e tecnologici sia oggi necessario, altrettanto importante è incamminarsi in percorsi interdisciplinari capaci di alimentare creatività, spirito critico, senso etico.
La cura del dubbio è, dunque, la risposta a chi vede nella diffusione di chatbot il pericolo di spersonalizzazione e invasione della libertà individuale. Alimentare il dubbio davanti alla pronta elaborazione di artificiale intelligenza è l’unica soluzione di cui disponiamo per conservare la nostra umanità.