L'idea
La maternità surrogata reato universale? È solo un «pugno identitario»
L’obiettivo è relegare la gestazione per altri (GPA) nell’ambito dei reati universali: come nei casi dei mortiferi scafisti, i suoi autori saranno perseguiti per tutto il globo terracqueo
Norme manifesto e da talk show definiscono una nuova categoria di fonti legislative. Dopo il provvedimento anti-rave, il (preventivo) divieto sulla (futura) carne sintetica, la stretta nei confronti degli eco-vandali, il decreto Cutro in tema di immigrazione clandestina, sul palcoscenico del sistema normativo italiano fa ora il suo ingresso la proposta di legge di cui all’atto della Camera dei Deputati n. 887.
L’obiettivo è relegare la gestazione per altri (GPA) nell’ambito dei reati universali: come nei casi dei mortiferi scafisti, i suoi autori saranno perseguiti per tutto il globo terracqueo. Le posizioni bioetiche e morali contro o a favore della maternità surrogata si attestano così come ennesima occasione per piantare bandierine ideologiche, ad uso e consumo di folle compiacenti, intellettuali di corte, accademici di riferimento, tifoserie politiche e risse socio-informatiche.
Il punto di partenza della proposta è la legge n. 40 del 2004 che, prima degli interventi della giurisprudenza, si caratterizza per la presenza di significative limitazioni nell’accesso alle pratiche di procreazione medicalmente assistita. Ciò spiega l’articolo 12 di quella legge che, delineando il delitto di surrogazione di maternità, lo sanziona con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro. L’elevata pena pecuniaria ed accessoria trasmette l’idea non tanto di un mezzo di dissuasione del desiderio di genitorialità dei committenti, quanto di uno strumento legal-repressivo volto a contrastare l’esercizio economico organizzato della GPA. La pena detentiva, invece, si assesta entro una cornice edittale che colloca il delitto nella fascia medio-bassa di fattispecie per le quali sono possibili gli istituti deflattivi, che consentirebbero di non arrivare ad una sentenza di condanna e, comunque, di evitare la detenzione. Ad ogni modo, uno dei risultati più evidenti dell’articolo 12 della legge 40/2004 è l’incremento del cosiddetto turismo procreativo, in virtù del quale coppie di aspiranti genitori, in maggioranza eterosessuali, fanno ricorso alla GPA. Per contrastarla l’odierna proposta di legge intende ampliare l’ambito di applicazione delle pene anche se il fatto è commesso in ordinamenti stranieri, compresi quelli in cui la surrogazione di maternità è regolamentata: Stati Uniti, Canada e Ucraina, ad esempio.
Ne derivano insostenibili paradossi, offuscati dagli interessi di imprenditori del consenso popolare, abili nell’ostentare mediaticamente la propria rettitudine morale contro una «esecrabile commercializzazione del corpo femminile e degli stessi bambini che nascono attraverso tali pratiche». Resta che, sul terreno degli effetti concreti, la proposta di legge rischia di tracciare percorsi inversi e produrre effetti giuridicamente distorsivi. Alcuni emergono anche a seguito dell’emendamento del 30 maggio 2023 (n. 1.13) che confina il divieto di surrogazione di maternità ai soli cittadini italiani. Chi pensa che sia volto a rendere per la prima volta in Italia punibile il turismo procreativo si sbaglia. L’articolo 9 (comma 2) del codice penale stabilisce che i delitti comuni commessi all’estero da italiani e sanzionati con la reclusione inferiore a tre anni (è il caso dell’articolo 12 della legge 40/2004) possono essere legalmente perseguiti su espressa richiesta del Ministro della giustizia. A ribadirlo sono anche le sentenze della Cassazione (nn. 5198/2020 e 13525/2016), dallo sfondo delle quali si staglia un’altra esecrabile contraddizione insita nella proposta legislativa in discussione.
Una proposta che, a ben guardare, mira a derogare il principio della doppia incriminazione, per cui nell’arena transnazionale un fatto è punibile quando definito come illecito penale nel territorio italiano e nel Paese nel quale è stato eseguito. È un principio che favorisce una ragionevole ed efficiente collaborazione giudiziaria fra Stati democratici. Tanto più importante in materia di surrogazione di maternità che, nel panorama comparato del costituzionalismo occidentale, si assoggetta a valutazione etiche rimesse ai singoli ordinamenti. La loro diversità è un dato di realtà: non possiamo farci nulla, a meno di non voler rompere le relazioni con Stati come il Canada, l’America e l’Ucraina inserendoli in una sorta di lista nera. Al lume di queste considerazioni, la deroga al principio della doppia incriminazione rischia di affermare la universale punibilità del reato di GPA solo in astratto e mai in concreto: è evidente la difficoltà dei giudici italiani nel dover sanzionare una siffatta condotta senza la cooperazione delle autorità estere, difficile da ottenere nel caso di Paesi in cui la maternità surrogata è legalizzata. Allo stesso modo, la deroga alla richiesta di cui all’articolo 9 (comma 2) c.p. rischia di impattare sui rapporti internazionali che, in questi ambiti, richiedono canali comunicativi solcati da specifiche circostanze e da valutazioni politico-istituzionali degli organi governativi, nella specie il Ministro della giustizia (Corte costituzionale, ord. n. 289/1989).
Insomma, a queste condizioni l’universale affermazione del reato di GPA equivale al pugno identitario che, sbattuto sul tavolo delle opzioni etiche, vuole ostentare il primato della giurisdizione italiana. Lo fa, tuttavia, con effetti simbolici e propagandistici. Al punto che, incurante delle conseguenze pratiche dei fatti normativi, le ragioni della proposta di legge n. 887 restano in piedi solo in un orizzonte di strumentali clamori mediatici. Come quelli gridati dai soliti pollai televisivi e alimentati dalle più moderne fosse telematiche. Dove, nell’affiorare delle incongruenze, pare possibile attribuire dignità logica al detto sublime del Comandante Cambronne, per cui durante la battaglia «la vera guardia muore ma non si arrende».