La riflessione

Il ruolo di papa Francesco in prima linea per la pace oltre gli schemi dell’Occidente

Dorella Cianci

Zelensky passa da Roma e si reca in Vaticano per incontrare il pontefice che, da buon gesuita, guarda al mondo nella sua interezza

Zelensky passa da Roma, ma passa marginalmente dall’Italia, concentrando la sua visita, in particolare, a Città del Vaticano, nell’incontro ufficiale (ma non di Stato) con Francesco.

Quali dimensioni assume questa giornata nella future e sperabili trattative di pace? Innanzitutto va sottolineato come il ruolo del Vaticano potrebbe essere ben visto da Russia e Ucraina non tanto per la dimensione spirituale di Francesco, ma per il suo ruolo diplomatico, che ha impresso nella Chiesa di Roma un nuovo senso di universalismo, distaccato dalla centralità dell’Occidente (di cui è spesso critico, soprattutto per il tema del relativismo culturale). Questo aspetto non è un dettaglio, perché colloca Bergoglio in una posizione di benevolenza non solo verso la sua America Latina, ma verso l’Asia e l’Africa. Il post-occidentalismo di Papa Francesco gli conferisce globalmente un ruolo diplomatico centrale, poiché egli non guarda soltanto alla minoranza cattolica di Russia o a quella buona percentuale di cattolici (di rito greco e latino) di Ucraina. Francesco parla a una parte di mondo molto più ampia e riesce a gestire questo dialogo basando il suo sguardo internazionale non solo sulle fonti diplomatiche ufficiali, ma articolando un ragionamento attraverso persone fidate in giro per il mondo. Va anche aggiunto che, malgrado alcune analisi distorte, il ruolo attuale del Vaticano viene percepito, da Putin come da Zelensky, come totalmente privo di interessi geopolitici e per questo autenticamente focalizzato su un inizio delle trattative per la pace. Chi insinua interessi del Vaticano nella tutela cattolica della Polonia o degli Stati Baltici non ha compreso il messaggio di questo Pontefice, il quale guarda – da buon gesuita – al mondo nella sua interezza, mettendo da parte un certo centralismo geostrategico, che ha lasciato gravi danni nelle zone più fragili della Terra.

Non è da trascurare come, al momento, le relazioni fra il Vaticano e la Cina siano dialoganti e parzialmente incoraggianti. Non è un dettaglio. Ad ogni modo, mentre Bergoglio lavora, da tempo, in maniera sotterranea, per la pace in Europa (così come aveva saputo coraggiosamente annunciare nel viaggio di rientro dall’Ungheria), l’Europa non perde occasione per mostrarsi distratta, debole, confusa. Come non leggere in questa chiave i nuovi massicci finanziamenti di armi annunciati dalla Germania proprio ieri? Come non notare che accanto alle parole ricostruzione e sostegno, i leader come quello italiano (ma non solo) affiancano l’insensato termine «vittoria»? L’Europa sembra non rendersi conto che mentre tenta di trincerarsi nella chiusura verso la Russia, ovviamente colpevole dell’occupazione, il capo della CIA prende contatti con l’omologo russo, tentando di far continuare il dialogo, esattamente come nelle intenzioni vaticane (che però si collocano ben al di sopra degli interessi di parte di Cina, Usa e Turchia).

I leader europei non sono in grado di prendere le misure con la parola «vittoria», che in questo caso allontana dalla missione di pace sperata: esiste la «pace giusta» per poter far cessare le guerre? Ovviamente no. Nella conferenza stampa delle 15, a Palazzo Chigi, sono due gli elementi davvero interessanti emersi: il ruolo che parzialmente l’Italia può avere nella ricostruzione di breve e medio periodo e la tempistica – decisamente preoccupante - menzionata dal presidente ucraino, nel momento in cui ha fatto riferimento ai preparativi per «il prossimo inverno di guerra».

Da una parte c’è l’auspicio della ricostruzione, così come citato da Giorgia Meloni, dall’altro c’è un annuncio allarmante, che dovrebbe risuonare non tanto a Mosca, quanto nel cuore d’Europa. Fino a quando e fino a dove? Ha senso menzionare ancora il recupero della Crimea? Non si potrebbe puntare nel convincere Zelensky a creare uno statuto speciale per il Donbass? Basterebbe alla Russia di Putin questo? Probabilmente sì, perché il messaggio russo non è tanto rivolto ai centimetri di conquista in terra ucraina, ma è un messaggio rivolto più a Occidente. E il messaggio dovrebbe proiettarsi al vertice di luglio a Vilnius, nel quale emergerà il gigantesco e sfaccettato pensiero geopolitico di Bergoglio nei rapporti fra Est e Ovest.

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