La riflessione
Le due Italie del diritto: Sud e Nord distanti anche nel pianeta Giustizia
Un caleidoscopio di emergenze e di criticità, difficilmente riconducibili a una sintesi da cui desumere delle prospettive chiare
Centro e periferie sono distanti anche nel pianeta giustizia. Così come continuiamo a dover fare i conti con un’Italia a più velocità, anche in ambito giudiziario. Lo dimostrano le relazioni che hanno aperto l’anno giudiziario, giovedì in Corte di Cassazione e ieri nelle varie Corti d’appello: un caleidoscopio di emergenze e di criticità, difficilmente riconducibili ad una sintesi da cui desumere delle prospettive chiare.
Se infatti da Roma si segnala un lento, ma progressivo, miglioramento della situazione nazionale complessiva, sottolineando da un lato – con equilibrio e indiscutibile fair play – che «non spetta a noi dare giudizi sulle scelte di politica legislativa» di Parlamento e Governo (così testualmente il barese Pietro Curzio, Primo presidente della Suprema Corte) e dall’altro auspicando (rectius, preannunciando) – come ha fatto il guardasigilli Carlo Nordio – che ogni riforma futura, prima di giungere all’attenzione del Parlamento, si avvalga dell’«ascolto di tutte le voci del sistema giustizia, dall’avvocatura all’accademia e alla magistratura» (significativo il riferimento all’accademia, in questi ultimi anni troppo spesso ignorata dal legislatore), se immancabili sono stati da più parti i riferimenti all’autonomia e all’indipendenza della magistratura, qualche giorno prima evocati da Sergio Mattarella in un preciso e non scontato contesto, le voci dei territori sono alquanto distanti, e non solo geograficamente, dal centro e tra di loro.
E così, mentre il Presidente della Corte d’appello di Milano, può tessere le lodi di quello che definisce «il virtuoso distretto» meneghino, con tempi medi dei procedimenti ampiamente al di sotto delle medie nazionali nel civile come nel penale, pur rilevando carenze di personale crescenti che potrebbero vanificare in futuro il primato, nel Meridione le cose vanno molto meno bene.
E a finire sotto i riflettori sono piuttosto i numeri in crescita della criminalità (organizzata e non). Nella nostra Puglia, difatti, cogliamo un dato assai allarmante nell’aumento delle notizie di reati associativi di stampo mafioso, con un incremento addirittura del 160% nel foggiano rispetto allo scorso anno. Chi segue la cronaca giudiziaria, del resto, non ne rimarrà stupito trattandosi del riflesso di fatti che ormai quasi quotidianamente colpiscono Foggia e provincia. Quella Quarta mafia di cui poco si parla, che talvolta sembra interessare più la creazione artistica – il riferimento è a Ti mangio il cuore (2022), film diretto da Pippo Mezzapesa e tratto da un libro inchiesta – della società civile.
A Bari, ferma restando la palla al piede dell’annosa questione dell’edilizia giudiziaria, si spera in via di risoluzione, si continua a fare i conti con il problema dei tempi processuali, cui non sono estranee – come si sa – le risorse disponibili, dagli uomini alle strutture.
Mentre il cancro della criminalità organizzata emerge nella Bat, complice un tessuto economico molto dinamico. Anche la situazione a Lecce e Brindisi non è rosea, con un incremento della criminalità comune e organizzata, «nuove mafie» che sono subentrate a quelle storiche, Sacra corona unita in testa.
Al di là dei dati specifici, la sensazione che emerge è quella di una giustizia a più velocità, una sorta di «giustizia differenziata di fatto» figlia forse di quell’Italia a più velocità che si vuole impacchettare nello scatolone dell’autonomia differenziata. Senza dimenticare però che giurisdizione e norme processuali, come ordinamento civile e penale, rientrano nella potestà legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, comma 2, lett. l, Cost.). Ma non bastano le norme, occorre applicarle, trasformarle in diritto vivente, tradurle in organismi efficienti.
E se nello stesso giorno in cui il magistrato milanese più alto in grado inneggia a una «giustizia virtuosa» il suo omologo di Bari parla di «diritto diseguale» e di «giudice in crisi di identità», vuol dire che – probabilmente – esiste anche una «questione meridionale» della giustizia di cui ci si dovrebbe occupare.