L'opinione
Il prezzo da pagare in un paese senza un pensiero «lungo»
Se l’Occidente - la Germania e l’Italia in particolare - avesse pensato «lungo» almeno vent’anni fa, forse il Cremlino non avrebbe il coltello energetico dalla parte del manico e qualche miliardo di euro da investire nella guerra
La freccia della domanda (in particolare turismo e industria culturale) che punta verso il basso e quella dei prezzi che vola verso l’alto. L’inflazione di febbraio nell’Eurozona al 5,9% che a marzo va a 7,5.
Cosa accadrà domani e dopo, ammesso che abbia senso parlare di tutto questo mentre in Ucraina si sta consumando una strage?
Ma qui sta il punto: quello di un pensiero «lungo», in grado di pensare contro e oltre questa guerra.
Se l’Occidente - la Germania e l’Italia in particolare - avesse pensato «lungo» almeno vent’anni fa, forse il Cremlino non avrebbe il coltello energetico dalla parte del manico e qualche miliardo di euro da investire nella guerra.
Ovviamente la Storia non si fa con i «se». Eppure «se» avessimo fatto meno i buffoni a Brindisi con LNG Gas avremmo un rigassificatore in più. E «se» altri buffoni avessero trionfato non avremmo neppure il TAP. Così «se» avessimo incrementato la nostra produzione energetica onshore e offshore una minore dipendenza avrebbe reso la Russia meno egemone sul mercato.
Sarebbe bastato a evitare una guerra? Forse no. Certo che la favola bella che l’interdipendenza economica avrebbe bandito per sempre la guerra con celebrazione della «fine della Storia» si è rivelata una balla sin dalle guerre di secessione iugoslave con plateale conferma l’11 Settembre 2001.
La Storia non si fa con i «se» ma qualcosa dovrebbe pur insegnare.
Il minimo è che le guerre scatenano ondate inflazionistiche collegate a crisi energetiche. I think tanks le chiamano schock energetici. La Guerra del Kippur nel 1973, generò una micidiale inflazione che pose fine ai cosiddetti «Trente Glorieuses». E l’Italia, è bene ricordarlo, dopo qualche anno inerziale, imboccò il Viale del Tramonto con il Mezzogiorno a guidare la discesa. Come nella recita del rosario, ai misteri gloriosi sono seguiti i terribili «trente douloureux» con scarsa crescita, aumento del divario Nord-Sud, ripresa dell’emigrazione dal Meridione verso il Settentrione d’Italia e d’Europa.
Allora, tra quel 7,5% d’inflazione nell’Eurozona e i morti ammazzati in Ucraina un nesso c’è e non è cinismo sottolinearlo. Forse, addirittura, è il contrario se una maggiore razionalità negli approvvigionamenti energetici può diminuire drasticamente le dipendenze e quindi abbassare i poteri di ricatto. Non è un bello spettacolo vedere diplomatici occidentali di rango questuare qualche barile tra l’Iran e il Venezuela.
Nel Big Game del Next Generation EU e quindi del PNRR c’è anche la partita dell’energia, pur se dal mazzo andranno tolti i jolly di un futuro che più green non si può: non sono passati che pochi mesi dalle marce trionfali con Greta in testa, le folle plaudenti alla transizione energetica e molti liberi pensatori di Stato pronti a scommettere sul passo accelerato nella conversione ecologica. Putin ha messo fine a ciò che oggi appare un euforico stordimento collettivo.
Qualcuno però immagina già che la guerra in Ucraina possa essere una buona scusa per stravolgere il PNRR. Pressioni in questo senso sono già in corso a Roma come a Bruxelles. Sarebbe un errore fatale che finirebbe con l’accentuare non solo i differenziali di dotazione in infrastrutture materiali e immateriali tra Centro-Nord e Mezzogiorno ma anche tra l’Italia e il resto d’Europa. Per chi non l’avesse capito sono i differenziali che generano dipendenze e le dipendenze non è detto che inevitabilmente generino conflitti ma sono un’ottima opportunità per scatenarli.