Il punto
La guerra vera combattuta come una fiction
Zelenskyj contro il Grande Dittatore. Ma non è un remake del capolavoro di Charlie Chaplin, bensì una guerra vera, combattuta attimo per attimo in diretta mediatica, con troppi morti da un lato e dall’altro, specialmente fra i più indifesi, i bambini e le donne. L’atrocità quotidiana compressa a infotainment, la miscela di informazione e intrattenimento, e instant history, la storia istantanea, come la definì Philip Howard sul Times nel remoto 1985, sette anni prima che Francis Fukuyama decretasse la fine di quella con la S maiuscola, commettendo uno dei più clamorosi abbagli di politologia.
L’invasione dell’Ucraina da parte di Putin, oltre ad essere stata ampiamente prevedibile e ancora più ampiamente sottovalutata, non implica solo la insorgenza del sogno imperiale (più che imperialista) del Piccolo Zar, quanto l’ascesa di un protagonismo, quello di chi passa dallo spettacolo alla leadership governativa.
Sembra un tema già obsoleto, se si pensa al discreto travaso avvenuto negli Stati Uniti da Hollywood a Washington (da Shirley Temple ad Arnold Schwarzenegger, passando per Ronald Reagan e Clint Eastwood, fra gli altri).
Zelenskyj, però, appartiene a una categoria specifica di interpreti: era un comico. Nella serie televisiva Sluha Narodu, in ucraino «servitore del popolo», anticipava il suo destino con il personaggio di un professore che contro ogni previsione diventa presidente del suo Paese.
Non si pensi ai due film con Claudio Bisio (Benvenuto, Presidente e Bentornato, Presidente). Chi ne vedrà la versione italiana prossimamente in onda su LA7 capirà che la satira di Zelenskyj dissotterrava le radici della crisi attuale, con una posta ben più alta degli intrighi di palazzo nostrani. Perché lo scenario eurasiatico è ben più vasto di quello peninsulare. Vasily Petrovyč Goloboroďko, il personaggio di Zelenskyj, è un suo alter ego anticipato. Capace di trasporre l’esperienza pedagogica di insegnante di storia ai massimi livelli d’impegno amministrativo.
La sua è una postura che sfata il paragone con Beppe Grillo, spesso ricorsa in questi giorni. Goloboroďko-Zelenskyj non fa battute come quella famosa del comico genovese sui socialisti in Cina, che gli valse il lungo esilio dalla RAI. Dietro di lui non incombe la lottizzazione: ruggisce con gli artigli in fuori l’Orso Russo.
Sì, Putin, fin troppo trasparente con le sue ambizioni frustrate dal fallimento dello sviluppo post-sovietico, che ha trasformato la Russia in una parodia molto spesso di cattivo gusto della peggiore deregulation occidentale. Zelenskyj, invece, accorpa tutti i crismi della dinamica analizzata dal filosofo neopositivista francese Henri Bergson nel celebre saggio Il riso, la Bibbia degli attori e degli autori comici. Vi si legge: «Il riso deve rispondere a certe esigenze della vita in comune. Il riso deve avere un significato sociale».
Quello suscitato dallo Zelenskyj comico era l’antidoto preventivo alle lacrime versate da un popolo che ha la sola colpa di voler esserci.