Le sfide del Sud
Tanti buoni progetti, ma pochi vanno in porto perciò il Sud non cresce
«Viaggiando nel Mezzogiorno d’Italia – scrive il New York Times – si capisce come l’Europa sia diventata Eurabia dopo decenni di attrazione per la Mitteleuropa»
«Viaggiando nel Mezzogiorno d’Italia – scrive il New York Times – si capisce come l’Europa sia diventata Eurabia dopo decenni di attrazione per la Mitteleuropa. La sua parte meridionale è ora un territorio competitivo, green, sostenibile e socialmente inclusivo. Si capisce il nuovo protagonismo del suo Sud, il Rinascimento atteso. Sud italiano ed europeo passato da zona di transito a interlocutore obbligato verso popoli e mercati mediterranei ormai fra i protagonisti del nostro tempo. Ed Europa così non più tagliata fuori dalla globalizzazione. Su un mare ridiventato centro del mondo. Capace di sviluppare con l’Africa l’economia del futuro piuttosto che farci solo passare navi dirette altrove».
«È uno scenario – aggiunge il New York Times – affascinante e imprevisto fino a poco fa. La sponda Sud ricca di giovani e di materie prime di base, come ha capito la Cina con la sua presenza. La sponda Nord, che coincide col vecchio derelitto Mezzogiorno, ricca di risorse finanziarie e di cultura tecnica e scientifica. Un incontro che inizialmente ha attivato tassi di sviluppo del 2-3 per cento in più. Quale è stato il suo punto di forza? Anzitutto il Quadrilatero delle quattro Zes, Napoli-Bari-Taranto-Gioia Tauro, Zone economiche speciali, con fiscalità e burocrazia ridotte. E che sembrava potessero funzionare in tutto il mondo (dove ce ne sono 4300 in 130 Paesi a cominciare da quella cinese della Wuhan del Covid) ma non nel Mezzogiorno. E Zes che, collegate a quelle siciliane di Ragusa-Catania e Palermo, hanno attirato aziende e iniziative, contribuendo a risolvere la famosa Questione meridionale. La parola d’ordine è stata: al Sud, al Sud».
«Abbiamo trovato – continua il grande giornale americano – quattro sistemi portuali che, interconnessi e sincronizzati, hanno attivato lo sviluppo del Mezzogiorno. Ne hanno fatto un’unica area, un sistema coordinato come quello che comprende Rotterdam e Amburgo. Un’area di 12 milioni di persone che dialoga, attrae, stimola. E che, iniziando dai porti, connette i nuovi interporti, retroporti, distripark, aeroporti, ferrovie, reti stradali, università, centri di ricerca, produzioni del Sud. Con collegamenti fra le aree portuali e il territorio circostante attraverso nodi ferroviari e autostradali. Con le aree interne sottratte al temuto deserto e rivitalizzate, a cominciare da Irpinia, Sannio, Murge sulla nuova linea Bari-Napoli con 12 stazioni. E la Calabria dei borghi fra Salerno e Reggio. E le autostrade del mare, traffico su gomma imbarcato nello scalo più prossimo alla produzione e sbarcato negli scali più vicini ai centri di distribuzione, possibile grazie ad armatori meridionali di livello mondiale. Tutto in cinque anni».
«Quanto abbiamo scoperto – conclude il New York Times – è il coronamento di una politica di vicinato mediterraneo meridionale, una grande regione Nord-Sud Europa, Mediterraneo, Africa del quale il Mezzogiorno italiano è la cerniera essenziale. Così questo Sud che era considerato la zavorra d’Italia è il solo che fa crescere l’intero Paese e l’Europa. E col Ponte sulla Stretto l’Europa è finalmente ricucita. E il Sud italiano è finalmente diventato quella piattaforma logistica sul Mediterraneo, portaerei naturale sempre contrabbandata mentre fino a poco fa era trattata come molo di attracco. Frutto di investimenti pubblici finalmente adeguati, dopo tanto iniquo vantaggio al Nord. Perché il nostro pragmatismo nordamericano aveva ben capito che ciò che il Sud chiedeva, e con i fondi del Pnrr ha ottenuto, erano infrastrutture e servizi che non lo penalizzassero più. Altro che assistenza».
Fin qui il possibile New York Times. I cinque anni arrivano al 2026, termine di spesa dei fondi del Recovery. Ed è esattamente quanto l’Europa vuole dall’Italia anche nel suo interesse. Invece le Zes hanno atteso oltre un anno la nomina dei commissari. Il porto di Taranto ha atteso per dieci anni il dragaggio dei fondali e il collegamento con la ferrovia fino a far fuggire al Pireo l’Evergreen-Hutchinson che lo gestiva. Dal porto di Gioia Tauro, che è in una posizione invidiata in tutto il pianeta, è fuggita la Maersk, e mancano sempre pezzetti di binario senza i quali tutto il suo vantaggio si perde. Eppure i 12 porti meridionali coprono il 46 per cento del traffico marittimo italiano e il 36 per cento di quello container. E col raddoppio di Suez (in un anno) le navi che ogni giorno lo traversano sono salite da 49 a 97. Ma quasi tutte non possono fermarsi da noi e fanno la circumnavigazione della Spagna e della Francia per arrivare a Rotterdam e Amburgo. Intanto il Piano di Ripresa e Resilienza punta sui porti di Genova e Trieste. Fine della trasmissione.