L'opinione
Sicurezza e politica estera: l'Europa destabilizzata da Putin si deve attrezzare
Ma la posta in gioco è altissima in quanto l’obiettivo della Russia è di mantenere i Paesi del vicinato e dell'antica area di influenza sovietica in uno stato di instabilità permanente per rinegoziare una nuova architettura di sicurezza in Europa
La gravissima e complessa crisi in atto in Ucraina evidenzia la necessità che l’Unione europea rafforzi sempre più le proprie competenze in materia di politica estera e di sicurezza, finora depotenziate dal vincolo di un consenso unanime abbastanza improbabile da raggiungere fra 27 Stati. È certamente positivo che dal Consiglio europeo del 24 febbraio sia comunque emersa una posizione unitaria di ferma condanna dell’invasione russa; d’altronde anche i Paesi membri politicamente più vicini a Putin non potevano chiudere gli occhi di fronte all’enormità dell’aver riproposto in Europa, dopo la seconda guerra mondiale e il non dimenticato conflitto nell’ex Jugoslavia, l’infetto l’uso delle armi con una palese violazione del diritto internazionale, della Carta delle Nazioni Unite e degli accordi di Minsk.
Resta il problema di come evitare l’ampliamento del conflitto bellico in Europa, inimmaginabile oggi alla luce delle conseguenze catastrofiche che ne scaturirebbero. Nel contempo, la progressiva intensità delle sanzioni economiche è sempre strettamente legata al consenso di tutti gli Stati membri pensando altresì alle indubbie conseguenze che le stesse produrranno, come un boomerang, sulle economie di alcuni di essi a partire dall’Italia.
Ma la posta in gioco è altissima in quanto l’obiettivo della Russia è di mantenere i Paesi del vicinato e dell'antica area di influenza sovietica in uno stato di instabilità permanente per rinegoziare una nuova architettura di sicurezza in Europa, magari usando la sponda dei despoti democratici di Stati membri dell’Unione come Polonia e Ungheria.
Per questi, e per i loro popoli, tuttavia, l’ampliamento avvenuto, dopo la caduta del muro di Berlino, ai Paesi dell’Europa orientale, pur forse affrettato, si rivela però oggi un utile scudo di fronte alle rinnovate aspirazioni imperialiste della Russia e al suo tentativo di destabilizzare l’intera Unione. E spiega l’adesione, senza soverchie difficoltà, degli stessi alle dure sanzioni economiche adottate dal Consiglio europeo.
Va peraltro ribadito che la credibilità della risposta europea e la consapevolezza dei sacrifici che essa potrà comportare si fondano sull’analoga fermezza con cui gli elementi identitari dati dal rispetto dei diritti fondamentali e dei valori democratici, come sanciti dalla Carta di Nizza del 2001 a fondamento della pace, verranno mantenuti.
In proposito, non è stata forse adeguatamente valorizzata la sentenza emessa dalla Corte di giustizia lo scorso 16 febbraio con cui sono stati respinti i ricorsi di Ungheria e Polonia contro il meccanismo di condizionalità, previsto dal Regolamento 2020/2092 del 16 dicembre 2020, che lega l'erogazione dei fondi europei al rispetto dello Stato di diritto. In tale causa (peraltro con la singolare, o forse no, e discutibile assenza del nostro Governo a supporto di Parlamento e Consiglio europei) la Corte ha ribadito in via definitiva che nell’Unione il rispetto dello Stato di diritto non può essere ridotto a un vincolo rilevante solo al fine di aderire all'Unione e dal quale ci si potrebbe sottrarre in seguito; esso costituisce, invece, una condizione permanente per il godimento di tutti i diritti derivanti dall’applicazione dei Trattati a uno Stato membro ivi compresa l’attribuzione di ingenti risorse finanziarie.
Su queste basi, la gravità della situazione sollecita una più profonda riflessione sulla improrogabile esigenza di por mano ad una riforma del Trattato di Lisbona del 2007 al fine di consentire il necessario salto di qualità nel processo d’integrazione.
Si tratta, anzitutto, di cancellare il voto all’unanimità nei due Consigli (europeo e dei ministri), espressione di un metodo intergovernativo figlio di altri tempi, e di affidare un ruolo costituente al Parlamento europeo: l’obiettivo non può che essere la costruzione di una Europa federale in grado di svolgere un ruolo da protagonista nelle vicende internazionali anche attraverso la costruzione di una «difesa comune» e il rafforzamento delle politiche comuni come quella dell’energia.
Come accadde per la nascita dell’euro, Francia, Germania, Italia e Spagna devono assumere l’iniziativa politica utilizzando la solidarietà - sanitaria, sociale ed economica - emersa a seguito del COVID 19 per porla come perno consolidato della pace e dell’equità nonché del patrimonio culturale e giuridico comune. A tal fine va efficacemente utilizzata l’occasione offerta dalla Conferenza sul futuro dell’Europa, i cui lavori dovrebbero in una prima fase chiudersi il 9 maggio, per dimostrare che l’Unione europea guarda al futuro mentre la Russia porta ancora sulle spalle il peso del passato.