L'intervista

«La destra di Giorgia? È nazionalconservatrice», parla il politologo Tarchi

Michele De Feudis

«In Puglia brillano Poli, Fitto e Mantovano. Senza rinnegare il passato, Di Crollalanza ha conservato al Msi un grande consenso popolare»

Professor Marco Tarchi, politologo dell’Università di Firenze - ieri a Bari per la presentazione del saggio “Le tre età della Fiamma” (Solferino) nella Fondazione Tatarella - il simbolo della comunità tricolore compare per la prima volta sulla scena politica nel primo dopoguerra. Nel 2024 tra Giorgia Meloni a Palazzo Chigi e la discussione cruciale sui vertici Ue, possiamo dire che quest’area politica ha raggiunto la massima centralità della sua storia?

«Questo è nei fatti. Tutto sta a comprendere quale grado di continuità – e discontinuità – c’è fra le tre tappe di quella storia, che cerco di esaminare nel mio libro. E all’interno di ciascuna di esse».

Il profilo della destra di Giorgia Meloni: conservatrice è l’aggettivo più adatto?

«Se ci si aggiunge un altro aggettivo, sì: nazional-conservatrice è la definizione che meglio rende conto dell’attuale profilo di Fratelli d’Italia. Va aggiunto che non si tratta di un conservatorismo riallacciabile in modo organico a questo o quel filone ideologico manifestatosi in passato nel campo del pensiero politico, ma di una formula pragmatica e un po’ vaga. Negli odierni partiti, e in Fratelli d’Italia in particolare, non si deve pretende di trovare solide base ideologiche; sono più interessati a abbozzi sintetici capaci di provocare emozioni. Siamo nell’era dei social».

Quanto c’è delle intuizioni di Giuseppe Tatarella nell’attuale evoluzione della destra di Fdi?

«Quelle sono state essenziali per il passaggio dal Msi ad Alleanza nazionale, ma si collocavano su uno sfondo diverso da quello odierno. Servivano per legittimare una forza a lungo esclusa dall’area governativa. Certamente se ne sono conservate parecchie tracce, ma a Meloni è servita anche la breve fase populista, dal 2017 al 2020, per fare concorrenza a Salvini. Non so se Tatarella l’avrebbe gradita».

Il suo saggio dedica, ricostruendo anche la prima fase del Msi, anche dei passaggi alla figura di Araldo di Crollalanza, ora figura di luminosa inattualità?

«Se si vuole interpretare, come io cerco di fare, il cammino complessivo del soggetto politico che si è incarnato successivamente in neofascismo, postfascismo e afascismo, su certi personaggi è inevitabile soffermarsi. Di Crollalanza è stato uno di quegli uomini che, senza rinnegare il loro passato nel regime mussoliniano, hanno saputo conservare al Msi un’ampia base di consenso popolare per le loro qualità umane e politiche».

Che ruolo ha svolto la destra barese e pugliese (ora di nuovo in auge con Adriana Poli Bortone sindaco di Lecce) nei passaggi cruciali dell'evoluzione nazionale?

«Basta pensare ai nomi citati nelle due domande precedenti ed in questa, e ad Ernesto De Marzio o ancora a Domenico Mennitti, brindisino d’adozione, per rendersi conto di quanto sostanzioso sia stato il contributo che questa regione ha dato ai partiti della Fiamma. Pare che questa tradizione continuerà, tenuto conto del rilievo di esponenti quali Alfredo Mantovano e Raffaele Fitto».

Si discute molto dei nuovi strumenti della politica. I social, ben usati dalla Meloni, hanno consentito di accorciare il divario comunicativo e mediatico con la sinistra?

«Non c’è dubbio. Salvini ha aperto il solco con la celebre “bestia”, il mega-apparato con cui ha a suo tempo ha arruolato legioni di follower ma Meloni ci si è inserita molto bene. E per ora ne ha tratto molti vantaggi».

Eppure il centrodestra trascura la metapolitica. 

«Non è nelle sue corde. Il pragmatismo iper-politico ha le sue leggi, i suoi effetti, e le sue contro-indicazioni. Permette a volte di edificare in fretta grandi moli di consenso, che però, prive di quel cemento che è una solida visione ideologica, possono anche crollare come castelli di sabbia in poco tempo. La Lega salviniana insegni».

Come valuta le attuali difficoltà del governo e della Meloni nelle relazioni con i partner istituzionali europei? Siamo tornati ai tempi dell'intolleranza del belga Elio Di Rupo (anche per la concomitanza con le politiche transalpine)?

«No di certo. La legittimità internazionale, grazie all’esibita fedeltà atlantica, Meloni se l’è conquistata».

Si sono da poco chiuse le urne a Bari. Anche qui la destra registra la difficoltà di assemblare un proposta convincente per diventare maggioranza in una città metropolitana. Succede anche a Parigi o Londra. Ma come si spiega questa debolezza delle destre nelle grandi città?

«A contare è la diversa mentalità di chi vive nei centri urbani e chi nelle zone periferiche. Nei primi ha attecchito in profondità una mentalità cosmopolita e progressista, intrisa di individualismo e di materialismo spicciolo, che poco ha a che fare con la destra, anche se piace a Marina Berlusconi».

Abbiamo parlato di Meloni e della destra. A sinistra si consolida la leadership di Elly Schlein, che fa ipotizzare un nuovo bipolarismo: quali i fronti politico-culturali delle due aree in conflitto politico?

«Uno solo, ma netto: conservatorismo contro progressismo. Uno scontro che è, prima di tutto, etico e culturale. E che è esploso alla luce con il caso-Vannacci».

Il suo prossimo saggio in uscita?

«Spero di scrivere, finalmente, il corposo libro sul Front National, oggi Rassemblement national, per il quale da anni accumulo dati e riflessioni».

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