Cultura e tradizioni

Il collezionista di divise: Paolo Caradonna e le 110 unifomi storiche dei Carabinieri

Enrica Simonetti

Da trent'anni studia e riunisce cimeli meravigliosi, documentando ogni pezzo nella sua ambientazione storica, con un lavoro di ricerca

Un pantalone coloniale cercato per 25 anni, capricapi di ogni epoca, divise del periodo coloniale e dell'epoca umbertina, sciarpe, gradi, libri e documenti: la collezione storica di Paolo Caradonna lascia senza parole. Da trent'anni studia e riunisce cimeli meravigliosi, documentando ogni pezzo nella sua ambientazione storica, con un lavoro di ricerca che accompagna ognuna delle 110 divise dai Carabinieri che ben presto saranno visibili al pubblico.

Un «hobby» da studioso per il medico barese affascinato dalla Storia, una «malattia» che ha contagiato molte altre persone, oltre a suo figlio. Tutto è nato per caso. «Sono stato l'unico nipote maschio di un nonno dalla vita avventurosa. Era nato nel 1885 ad Avetrana e da quando era bambino – racconta Caradonna - aveva imparato ogni tipo di lavoro, anche perché aiutava suo padre che possedeva una piccola fabbrica di fiammiferi. Per arruolarsi nella Fanteria dell'Esercito – dove poi divenne sottufficiale – falsificò di un anno pure la data di nascita, dimostrando di essere nato il 2 gennaio del 1884. Erano tempi diversi, ma io sin da piccolo ascoltavo i suoi racconti, passeggiavo con lui osservando gli ingressi delle caserme...».

Una breve esperienza come medico militare ha poi fortificato la passione di Paolo Caradonna, che anche dopo, lavorando in ospedale, non ha mai smesso di appassionarsi alla sua ricerca storiografica sui Carabinieri. La collezione è partita dalla testa: due copricapi storici, una lucerna e un kepi d'artiglieria a cavallo. Poi, da tesserato dell'Associazione Nazionale del Carabiniere in congedo, ha trovato tante storie e tanta cultura, fortificando la sua voglia di approfondire. E così, ecco le 110 divise perfette, tutte montate su manichini, pezzi anche unici e introvabili che vanno dall'epoca Umbertina fino ai giorni nostri. Duecento anni di divise e di accessori. «Sì, ho cercato qua e là, ho studiato tanto, ma come sanno tutti i collezionisti, alla fine sono state molte di queste divise a trovare me». E il contesto storico in cui sono state usate, le curiosità e le particolarità hanno fatto parte degli approfondimenti successivi, tanto che la collezione è preziosa anche per la sua ricca documentazione.

Chi sapeva ad esempio che la fascia azzurra degli ufficiali viene portata avvolta alla vita solo dai Corazzieri? E che un tempo era screziata in oro? Grande interesse per alcune delle esposizioni in cui sono state mostrate in parte queste divise, come in occasione del 4 novembre del 2022 sul lungomare di Bari. Altre mostre si sono tenute in Fiera, ma il vero «museo» visitabile nascerà dopo la Convenzione attualmente in corso di definizione con il Comando Generale dei Carabinieri. Militarista? Caradonna sottolinea il suo interesse anche per l'educazione formale che fa parte della storia di questo Corpo: «C'erano i manuali di contegno, in cui ad esempio s'insegnava ogni cosa che potesse essere utile al buon comportamento. E poi a mio avviso i militari hanno generato fedeltà e non crudeltà, si pensi al loro lavoro nelle sciagure come le alluvioni, c'è tutta una storia di pace da conoscere».

Il collezionista non sa mai dire a quale pezzo sia più affezionato e lo stesso fa il dottor Paolo Caradonna, il quale possiede autentiche rarità come le divise coloniali, quelle da alpino create negli anni Sessanta per coloro che erano in servizio sulle Alpi, compresa la carrucola usata a quei tempi. E poi una divisa nata solo per 25 uomini: per la scorta a cavallo del governatore di Libia e utilizzata per pochi anni, con le selle ad hoc. Le cartucce della prima guerra mondiale erano conservate in scatole di cartone e «quando si doveva entrare in azione il grido era “rompete le scatole”, cosa che spiegherebbe il nostro modo di dire “non rompere le scatole”».

Attira l'attenzione un copricapo indigeno a tronco di cono, che, chissà, dava un senso di autorità. Duecento anni di storia, dal 1814, quando Vittorio Emanuele I decise di istituire un gruppo di fedelissimi, ovvero i Carabinieri Reali, e di equipaggiarli con una divisa che potesse richiamare la casa reale con questi colori: il blu scuro ovvero il turchino, colore dei corpi di élite francesi; il rosso simbolo del sacrificio e colore del sangue che ogni militare deve essere disposto a versare in obbedienza al suo giuramento; inoltre colore di fondo dello scudo sabaudo e colore dell’amore, in questo caso l’amor di Patria e infine l’argento delle metallerie, ovvero il metallo nobile, che secondo l’araldica dei colori faceva premio sull’oro.

Caradonna racconta storie e Storia. Ecco la grande uniforme da maggiore di epoca umbertina; quella da appuntato con il pennacchio alto; quella da campagna; la serie di uniformi chiare del periodo coloniale; le sahariane; i galloni, i mantelli; le uniformi estive di ogni era; le tenute di marcia e quelle di gala. Tessuti che resistono uno, due secoli e raccontano. Insieme alle cartoline d'epoca collezionate con attenzione ai particolari e insieme alle nuove divise, anche femminili, create a partire dal Duemila. O alle tute d'investigazione scientifica e alle uniformi dei carabinieri di quartiere, tra forge e trame, gonne e giacche un tempo sconosciute. Come tutte le collezioni, un mondo dentro il mondo.

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