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L'intervista
Livio Costarella
03 Febbraio 2021
«I veri paradisi sono quelli perduti», diceva Marcel Proust. E poi ci sono gli inferni in terra, quelli ben visibili e inevitabili. Lo sanno bene i personaggi de «L’ultimo Paradiso», film diretto dal lucano Rocco Ricciardulli, con protagonisti Riccardo Scamarcio (in veste anche di produttore e cosceneggiatore insieme al regista), Gaia Bermani Amaral, Antonio Gerardi e Valentina Cervi. Il lungometraggio, girato in Puglia tra ottobre e dicembre 2019 nelle città di Bari e soprattutto Gravina in Puglia (con qualche set pure in Campania e a Trieste), è un film originale Netflix, piattaforma sulla quale sarà visibile da venerdì 5 febbraio. Realizzato in associazione con Mediaset, prodotto da Lebowski e Silver Productions, si è avvalso del contributo dell’Apulian Film Fund di Regione Puglia e il sostegno di Apulia Film Commission.
Ed è tra inferno e paradiso, che si muove il Sud brullo della Murgia al confine tra Puglia e Basilicata, in un mondo quasi arcaico e immutato nel tempo. Dove però ribollono sentimenti repressi e aspirazioni mai sopite. Tratto da una storia vera, L’ultimo Paradiso è ambientato nel 1958: Ciccio (Scamarcio) è un contadino di 40 anni, sposato con Lucia (Cervi) e padre di un figlio di 7 anni. Sogna di cambiare le cose e lotta con i suoi compaesani contro chi da sempre abusa dei più deboli. Ed è segretamente innamorato di Bianca (Bermani Amaral), la figlia di Cumpà Schettino (Gerardi), un perfido proprietario terriero che sfrutta la manovalanza. Ciccio vorrebbe fuggire insieme a lei, ma non appena Cumpà Schettino scoprirà della loro relazione, una serie di eventi inizierà a sconvolgere la vita di tutti.
«In una storia come questa - ha spiegato Scamarcio, alla presentazione on line del film, insieme al regista e alle due attrici principali - ho trovato che due elementi fossero i migliori spunti di narrazione: lo sfruttamento del lavoro e la voglia di emancipazione, tra chi è rimasto al paesello e sogna di andar via, e chi è partito ma sente forte il richiamo nostalgico della propria terra. Mi piace il cinema che riesce a creare personaggi tridimensionali, e che non procede per stereotipi. È il caso del film. E l’essere produttore, in questa circostanza, riflette la voglia di tornare sempre nei “miei” luoghi».
Gravina in Puglia, estesa in parte sulle sponde di un profondo crepaccio, è infatti un elemento metaforico decisivo, in una simile «cavalleria rusticana». Città nella quale, tra l’altro, lo stesso Scamarcio ritrova parte delle sue origini familiari (dal ramo materno). Nel cast di un film corale, dalla sceneggiatura atipica e con diversi colpi di scena sino alla fine, non mancano altre attrici pugliesi di talento come Federica Torchetti e Nicoletta Carbonara (in ruoli minori, tra i tanti, anche Antonello Loiacono ed Elisabetta Aloia) e il lucano Erminio Truncellito; completano il cast Anna Maria De Luca, Mimmo Mignemi, Donato Demita, Matteo Scaltrito.
«Riaprendo una pagina di un passato che mi appartiene - ha affermato il regista -, attraverso le immagini ho cercato di dar voce a fatti rimasti sepolti nel tempo. L’idea è stata quella di ritrarre il meridione raccontatomi. Un Sud aspro e bellissimo che assiste con indifferenza ai drammi della sua gente, sovrastandola con i silenzi. Ciccio e Bianca vogliono cambiare la propria condizione a qualunque costo, e sono pronti a sfidare il loro destino. È la nobiltà del “contadino” che si esprime in loro, che lascia trasparire una forza e una dignità ormai perduta».
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