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Sticchi Damiani attacca: «Giù le mani dal Lecce»

Pierpaolo Verri

«Quello degli stranieri è un finto problema che poi diventa alibi. Solo il 23% dei calciatori è straniero, gli errori sono altri»

LECCE  - Dal modello virtuoso del suo Lecce alle prospettive di crescita del calcio italiano, prendendo spunto dai temi attorno ai quali si è imperniato il dibattito all’indomani dell’eliminazione dell’Italia da Euro 2024. Saverio Sticchi Damiani è intervenuto presso il Senato della Repubblica, su invito della 7ª Commissione «Cultura e patrimonio culturale, istruzione pubblica, ricerca scientifica, «spettacolo e sport», che si sta occupando delle «Prospettive di riforma del calcio italiano». L’intervento del presidente giallorosso si è espresso a 360 gradi, partendo dalla sua esperienza alla guida del club salentino: «Sono presidente del Lecce dal 2017, quando la squadra era in serie C. Ho avuto la fortuna in pochi anni di attraversare le tre leghe fino alla serie A, oggi ci apprestiamo a vivere la terza stagione consecutiva nella massima serie. Siamo una società che riesce a chiudere i bilanci in equilibrio, quest’anno chiuderemo con un utile di gestione in virtù di una chiara politica di sostenibilità e di non indebitamento».

Sticchi Damiani si è poi soffermato sulla polemica dei giorni scorsi che ha visto tirato in ballo il suo Lecce, con riferimento all’eccessivo utilizzo dei calciatori stranieri nei campionati giovanili: «Dopo l’eliminazione dall’europeo si sta cercando di trovare la chiave per giustificare l’insuccesso, fra i temi principali c’è quello relativo alla presenza di tanti stranieri nelle squadre Primavera. Il Lecce in questo dibattito viene additato come una delle principali responsabili, avendo avuto una Primavera che lo scorso anno ha vinto lo scudetto con una squadra composta prevalentemente da stranieri. Tuttavia, i numeri dicono che solo il 23% dei calciatori di questo campionato sono stranieri. Dire che l’insuccesso del calcio italiano è determinato dalla partecipazione degli stranieri nei campionati giovanili è il più grande errore che si possa fare e diventa poi un alibi per giustificare gli insuccessi». Il presidente giallorosso ha poi individuato un aspetto critico del calcio italiano: «Il vero problema è che sono le prime squadre ad avere una stragrande prevalenza di stranieri. I titolari italiani utilizzati stabilmente dalle 20 squadre di serie A non sono più di un centinaio. Il grande tema è quello delle risorse. Abbiamo la legge Melandri che prevede che il 22% delle risorse relative ai proventi delle televisioni deve essere distribuito sulla base del radicamento sociale. Questo parametro si riferisce a tre criteri, fra i quali vi sono il numero di spettatori paganti e l’audience televisivo. Questi due criteri sposano le politiche delle grandi squadre. Poi c’è un terzo criterio che farebbe crescere la nazionale italiana, ovvero i minuti giocati in serie A dai giocatori di età compresa dai 15 ai 23 anni, formati nei settori giovanili italiani e tesserati da almeno 36 mesi ininterrotti dalla stessa società».

Il presidente dei salentini si è soffermato su quest’ultimo punto: «La vera criticità è che questo terzo e fondamentale criterio è stato disciplinato da un decreto soltanto nel febbraio di quest’anno. Questo decreto è stato già interpretato restrittivamente dal Ministero dello Sport con riguardo all’età dei calciatori, ridimensionando un principio fondamentale, ritenendo che il beneficio decade al compimento dei 24 anni nel corso della stagione. C’è poi il tema delle retrocessioni, il calcio italiano oggi non migliora e non fa giocare i giovani per il terrore delle retrocessioni. Non dico di abolirle, ma servono ragionamenti di buon senso. La serie B doveva essere il serbatoio per far maturare i giovani ma ormai si sta snaturando. Credo sia l’unico campionato in Europa nel quale salgono tre squadre e ne retrocedono quattro, in più ci sono i playout. Quindi tutta la serie B gioca col terrore di retrocedere e non dà spazio ai giovani».

Infine, Sticchi Damiani si è detto critico rispetto alla paventata ipotesi di un ritorno della serie A a 18 squadre: «Ritengo fuori luogo questa proposta, andremmo a eliminare due società presumibilmente piccole, che avrebbero più propensione a rischiare sui giovani. L’argomento a favore della riduzione delle squadre sarebbe la tutela della salute dei calciatori, connessa alla diminuzione del numero di partite. Non credo però a questo argomento, si tratta di un falso tema, se fosse davvero così allora i grandi club non farebbero tournée internazionali massacranti per i loro calciatori, a inizio o fine campionato, solo per generare incassi».

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