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Taranto, il romanzo triste di Erasmo Iacovone
Tra le lamiere contorte della Dyane 6 poco prima dell’alba del 6 febbraio 1978 rimase intrappolato anche il sogno della serie A
TARANTO - Febbraio a Taranto, da 45 anni, è quel giorno lì. Non ne porta altri. È un mese senza tempo. Il vuoto mai colmato. La voragine che inghiottì tutto. È il ricordo di un’alba che non vide mai la luce. Sopraffatta da un buio improvviso. Crudele. È la domenica che non diventò mai lunedì. Rimase intrappolata tra le lamiere contorte di una Dyane 6. Era il 6 febbraio 1978. E lo è ancora. E lo sarà per sempre. Quel giorno moriva Erasmo Iacovone. E insieme a lui: tramontava il sogno, svaniva la speranza.
Iacovone cominciò a scrivere il suo romanzo triste nell’autunno del 1976, approdando in una città felicemente indaffarata, o almeno così pareva. Le ciminiere del siderurgico più grande d’Europa sbuffavano progresso, o almeno così sembrava. Arrivava dal Mantova, serie C, dopo un po’ di D col Carpi e nemmeno tanti gol. Anche Iacovone non sembrava ciò che era: un centravanti. Non ne aveva le fattezze. Spalle incassate e cosce come tronchi d’albero. Un traccagno d’area, questo sembrava.
Il presidente Fico scucì 200 milioni di vecchie lire per vestirlo di rossoblù. Per la precisione, 130 milioni più Scalcon in cambio della metà di Iacovone, una promessa di centravanti. Sembravano troppi. Sembrava un azzardo. E invece Fico, forse fiutando l’affare, forse seguendo l’istinto, chiuse l’operazione. E, non immaginandolo, al sogno di molti diede una speranza. E alla speranza una possibilità: quella di tramutarsi in qualcosa di reale. Di fattuale, di palpabile. Nella cronaca dei giorni di Iacovone. Furono pochi. Volendo, potremmo raccoglierli in un pugno. Ma si riempirono subito di stacchi, tocchi, agguati, incantesimi. E gol, naturalmente. Gol strappati al cielo, librandosi in aria come una libellula. Gol sottratti alla terra, solcandola come un metalmezzadro dell’area di rigore.
Otto gol in ventotto partite. Gol di testa, soprattutto. La sua specialità. Come quello all’esordio sul campo del Novara. Finì 1-1 e Iacovone infilò la rete del pareggio al 66’. Quel Taranto “suonava” così: Trentini; Giovannone, Cimenti; Nardello, Spanio, Capra; Gori, Fanti, Jacomuzzi, Romanzini, Iacovone. Il ritmo della formazione scandito dal punto e virgola. Era ancora il calcio in cui i terzini facevano i terzini, lo stopper marcava a uomo e il libero aveva licenza di spazzare. Quel Taranto chiuse il campionato di serie B al nono posto con 37 punti. Promosse in serie A: L.R. Vicenza, Pescara e Atalanta.
Nella stagione successiva la speranza si spinse oltre. Sembrava potesse diventare qualcosa di più grande: per Taranto che non smetteva di sgranare gli occhi davanti al suo centravanti, per il Tarano che grazie ai gol del suo centravanti cominciò ad arrampicarsi in classifica. Sino a raggiungere il secondo posto alle spalle dell’Ascoli dei record, due punti in più sulle terze. Iacovone segnava, Taranto sognava. Cinque gol nelle prime sei giornate. A segno a Cremona, col Rimini, a Catanzaro, col Modena, a Cagliari. Otto gol dopo le prime tredici partite, l’ultimo dei quali in casa con la Sambenedettese. Gol memorabili, come quello al Bari, cioè il derby. Un pallonetto di rara perfidia sull’uscita disperata e incredula del portiere De Luca. Gol e titoli sui giornali. Pacche sulle spalle e occhi addosso. E voci di mercato. Lo vuole la Fiorentina. Lo segue la Roma. Macché, Iacovone non si tocca. Fico brucia la concorrenza e lo riscatta. Ora è tutto del Taranto. E di una città in fiduciosa attesa. Perché pensa di potercela fare. E non era mai successo. Perché forse è l'anno giusto. Sì, l’anno della serie A.
Ma il calcio è strano. Non è mai lo stesso vento. Cambia direzione continuamente. A volte ti spiazza, a volte ti travolge. Il calcio ha in serbo giorni di magra e li sta per rovesciare sul tavolo del campionato: uno dietro l'altro. Sono i giorni in cui Iacovone smette di segnare. E, forse, di sorridere. Il cannoniere schivo, il centravanti timido s’immalinconì per qualche domenica e per qualche ragione. Fresco sposo, forse pensava alla pancia della moglie e al papà che sarebbe diventato da lì a poco (da lì a mai). Seguirono turni avari. Iacovone restò a secco per sei partite consecutive. Si sbloccò a Pistoia, ultima domenica di gennaio. Raggiunse quota 9 in testa alla classifica dei marcatori, affiancando Pellegrini del Bari e Palanca del Catanzaro. E andando incontro alla sua ultima partita. A quella domenica che abortì il lunedì. Se lo tenne in grembo, rifiutandosi di partorirlo. Domenica di cielo livido e nuvole basse. Domenica di pioggia sottile e insistente. È la domenica di Taranto-Cremonese 0-0. Con Ginulfi che gli parò tutto, volando da un palo all’altro. Niente gol. Niente confronto al nulla che sta per prendersi tutto.
Al romanzo triste di Iacovone, centravanti nato a Capracotta in provincia di Isernia, manca ormai solo il suo finale tragico. Una drammatica sequenza di accadimenti che resteranno impressi nella memoria collettiva. Perché cuciti sulla carne viva di una comunità. Una sequenza che a ripercorrerla vengono ancora i brividi: la serata trascorsa nel locale dove si esibisce Oreste Lionello, il tentativo vano di smaltire un po’ della delusione per l’esito della partita, il rientro a casa nel cuore della notte, l’impatto violentissimo con l’auto, appena rubata, che sopraggiunge a fari spenti sulla Taranto-San Giorgio. Destini che s’incrociano. Lo schianto. Muore Erasmo il mite. Nasce Iacovone il mito.
Ieri, domenica 12 febbraio 2023, il Taranto ha giocato e pareggiato a Castellamare contro la Juve Stabia. Quarantacinque anni fa, domenica 12 febbraio 1978, il Taranto giocò e vinse a Rimini la sua prima partita senza Iacovone. Il sogno (forse troppo grande) e la speranza (miracolosamente intatta) si rimisero in viaggio. E lo sono ancora.