ANDRIA - Potrebbe riaprirsi il processo su uno dei delitti più atroci che siano stati mai commessi. Stiamo parlando della morte della piccola Graziella Mansi, torturata e bruciata viva alla tenera età di 8 anni nei pressi delle campagne di Castel Del Monte. Una vicenda che non è stata mai dimenticata, e che ancora oggi scuote le coscienze.
L’avvocato Carmine Di Paola, decano dei penalisti barlettani, ha dedicato anni a studiare le carte del processo, arrivando persino a scrivere un libro. In cui afferma, con estrema fermezza e convinzione, l’assoluta estraneità dei tre imputati condannati all’ergastolo. Michele Zagaria, Giuseppe Di Bari e Domenico Margiotta hanno sempre sostenuto di non aver nulla a che fare con quella morte atroce. Un quarto imputato, Vincenzo Coratella, si tolse la vita nel carcere di Lecce, ma non prima di scrivere un biglietto in cui ribadiva la sua innocenza. Ora l’avvocato Di Paola sta per depositare una richiesta di revisione per Di Bari, attualmente detenuto nel carcere di Milano.
Nell’occasione, scrive una lettera a Pasquale Tortora, condannato a 30 anni con rito abbreviato, scarcerato nel febbraio scorso dopo aver scontato 24 anni: all’epoca dei fatti fu lui a fare i nomi dei quattro imputati.
Ed è proprio a lui che si rivolge, invitandolo a raccontare la verità. «Ritengo che la tragica vicenda da lei al tempo causata abbia lasciato segni significativi sulla sua esistenza e che il ricordo di quel giorno scuota ogni tanto la sua coscienza – si legge - Devo invece prendere atto che lei ha completamente dimenticato i quattro ragazzi coinvolti nel processo a seguito delle sue accuse. Quattro disgraziati che non erano in sua compagnia a Castel del Monte la sera del 19 agosto 2000 e che hanno subito, grazie alle sue dichiarazioni, la condanna all’ergastolo. Quei quattro lei li ha lasciati alle spalle, con una cattiveria difficile persino da immaginare, abbandonandoli al loro infame destino quasi fossero rifiuti».
«Mi sono domandato un milione di volte – prosegue - se lei abbia in qualche occasione riportato alla memoria il volto di Vincenzo, che non ha avuto la forza di sopravvivere alla sua cattiveria ed ha concluso la propria esperienza di vita appeso ad un lenzuolo nel carcere in cui era recluso. Quel volto le è mai apparso davanti agli occhi? Lei sa bene che non sto farneticando».
Nella lettera, il professionista riporta un passaggio della perizia psichiatrica su Tortora disposta dalla Corte d’Assise d’Appello di Bari, in cui si legge come sia «significativo che l’imputato abbia ammesso ai periti di non aver mai detto la verità».
«Ed allora – lo incalza ancora l’avvocato - non è forse arrivato il momento di dirla la verità? Di far conoscere al mondo intero che i quattro suoi ex coimputati sono innocenti, non hanno concorso con lei nell’omicidio della bambina, sono stati ingiustamente condannati? Coraggio, signor Tortora, almeno oggi dica il vero. Porrà così parziale rimedio al male fatto ed acquisirà qualche merito in vista di un giudizio finale, quello divino».