POTENZA - A soccorrere le imprese lucane in cerca di figure professionali definite «di difficile reperibilità» sono gli immigrati. Excelsior-Unioncamere riferisce che saranno 99mila gli ingressi programmati in Italia nel mese di ottobre (+11mila rispetto allo stesso periodo del 2022), pari al 21% del totale dei contratti da siglare sempre ad ottobre. In Basilicata la quota però si riduce a qualche centinaia di immigrati rispetto ad un fabbisogno che solo in agricoltura in questa stagione di grande raccolta (pomodoro, uva e olive) sfiora le 10mila unità. Poi ci sono richieste in edilizia per altre 5 mila unità, nei servizi alberghieri e di ristorazione di almeno 4 mila unità. A profili professionali introvabili si mescolano lavori generici e che comunque non richiedono particolari professionalità.
Ci sono mestieri che i lucani come in generale gli italiani non vogliono fare mentre l’esperienza degli imprenditori lucani nella «prenotazione» di immigrati da far entrare con regolare permesso di soggiorno è negativa. Le operazioni note come «click day» si risolvono in una forte delusione perché – come raccontano i titolari di impresa che ci hanno provato – non si fa in tempo in poche ore ad entrare nella piattaforma web che i posti disponibili sono già esauriti. Inoltre la burocrazia è molto complessa e scoraggia il ricorso a lavoratori extracomunitari. Il presidente della Camera di Commercio ItalAfrica, Alfredo Cestari, che, dal 2004, si occupa dei problemi dei Paesi Africani e delle imprese italiane che lavorano negli stessi Paesi, ha un’idea precisa: andare nei luoghi da dove partono i flussi per arginare l'emergenza immigrazione e offrire lavoro in loco o in Italia.
Guinea, Costa d'Avorio, Sudan, Kenya, Etiopia, Repubblica democratica del Congo sono i principali Paesi di provenienza di chi cerca fortuna in Europa. Quasi 114mila sbarchi nel 2023 (fino a fine agosto). Gli arrivi più numerosi da giorni sono da Guinea (15.138 sbarcati nel 2023), seguita da Costa d'Avorio (14.282), Tunisia (11.694) ed Egitto (8.422). «Ma - spiega Cestari - stiamo osservando movimenti dall'Africa Subsahariana, i Paesi limitrofi al Sudafrica. Il che apre nuove e inquietanti difficoltà. Chi decide di scappare può metterci anche tre anni per arrivare sulle coste del Mediterraneo e, in questo lasso di tempo, è costretto a procurarsi i soldi per i vari trasferimenti e lo fa di fatto schiavizzandosi. Il nostro compito è dunque quello di avviare una vera e propria rivoluzione culturale, di far capire alle popolazioni di quei territori che esistono alternative possibili. Innanzitutto che si possono avviare, nei loro Paesi, progetti volti a migliorare la qualità di vita e, perché no, di creare lavoro. E poi la selezione di forza lavoro da impiegare in Italia e da formare secondo le professionalità più richieste. Penso che questa sia in generale la strada maestra per arrestare i flussi migratori, per dare alle persone una speranza vera. L'Europa è su questo che deve impegnarsi. Ora».
Quello che non manca sono le risorse finanziarie. «Sono quasi 160 i miliardi di euro che il vecchio Continente ha stanziato - ricorda Cestari -. Sono soldi sufficienti a invertire la rotta ma occorre avviare dei veri e propri focus per interventi che siano finalizzati alle esigenze reali. Bisogna insomma rafforzare la cooperazione e usare il denaro già disponibile per migliorare le condizioni di vita delle varie popolazioni. Affrontare l'emergenza è ovviamente fondamentale ma credo che la prevenzione sia la vera arma da utilizzare. Sono problemi di somma urgenza e come tali vanno affrontati. Usare le risorse stanziate e usarle bene è un dovere innanzitutto morale. Farlo significa affrontare realmente le grandi questioni che affliggono l'Africa e, piano piano, porre rimedio».
L’Africa ha bisogno di Centri Formazione Professionale, c’è necessità di maestranze sempre più professionalizzate in diversi settori in grado di rispondere alla crescente domanda, da parte delle industrie, di operatori preparati: meccanici (auto, moto, camion, bus), carrozzieri, falegnami, informatici, tessili (sarti e designer), ristoratori (cuochi, camerieri, capi sala), insomma tutti coloro che perseguono il «learning by doing» (imparare facendo) hanno un futuro certo in Africa. Ogni centro di formazione è una «piazza dei mestieri» che si fonda su due caratteristiche: didattica laboratoriale e tirocini aziendali. Questi centri sono sia incubatori d’impresa sia agenti di sviluppo territoriale e utili per le imprese italiane ed europee. Di qui l’invito alle aziende italiane ad investire in formazione anche fuori dai confini regionali. Nel «Piano Mattei» definito dal Governo per rilanciare la cooperazione con i Paesi Africani è anche questo un fattore importante.