Il caso
Bari, crollo di via Pinto: foto e libri dalle macerie finiscono tra gli «oggetti smarriti»
Le famiglie delle case crollate chiedono la restituzione, il Comune ci sta lavorando
Per settimane hanno visto da lontano, dietro le transenne di un’area sequestrata, le fotografie di famiglie appese ancora i muri, gli oggetti delle loro vite quotidiane ancora su tavoli e credenze. Dopo 166 giorni quello che era rimasto in piedi al civico 6 di via Pinto non c’è più (demolito per mettere in sicurezza la zona dopo il crollo del palazzo) e ciò che è stato recuperato tra le macerie, tutto quel che resta alle 16 famiglie di quelle case implose e venute giù come briciole, è accatastato in bustoni custoditi in uno dei locali comunali all’interno dello stadio. E le famiglie ne reclamano la restituzione.
Facile a dirsi, tenuto conto che la logica dice che quegli oggetti sicuramente appartengono a chi viveva negli appartamenti crollati. Più difficile a farsi, perché la legge è chiara. La restituzione degli effetti personali, infatti, dovrà seguire l’iter amministrativo degli «smarriti». E ci vorrà ancora qualche mese.
IL DRAMMA DEI PROPRIETARI Hanno perso tutto. Già un anno prima del crollo, verificatori alle 18.44 del 5 marzo scorso, un’ordinanza di sgombero per inagibilità dell’immobile aveva costretto quelle sedici famiglie a lasciare le proprie case. Quando il palazzo è imploso gli appartamenti erano ancora pieni di tutte le loro cose: mobili, vestiti, documenti, fotografie, oggetti e suppellettili. Ogni tanto qualcuno tornava per prendere alcune cose, convinti che dopo la messa in sicurezza (iniziata qualche giorno prima che l’edificio crollasse) sarebbero tornati a casa. Quella speranza si è sbriciolata insieme ai muri e ai solai. Sotto le macerie, però, tanti ricordi sono rimasti intatti. Le fotografie dei matrimoni e delle feste, le batterie di pentole comprate per i figli, lampade, posate, vestiti e libri. Quando la ditta incaricata dal Comune di rimuovere le macerie ha selezionato il materiale, buttando via le cose rotte o inutili per le indagini, trasferendo in laboratorio i frammenti di murature e pilastri da analizzare per accertare le cause del crollo e imbustando gli effetti personali recuperati, per i proprietari è cominciata un’altra fase di attesa: conoscere la verità e le eventuali responsabilità sul crollo (di questo si sta occupando la Procura) e rientrare in possesso dei pochi ricordi non andati distrutti.
«Non è roba ritrovata per caso, è roba nostra - dice uno dei proprietari - e non capiamo perché non ce la restituiscono. Abbiamo visto portare via decine di buste, c’erano casseforti, alcune ancora chiuse, pentole e casseruole che sembravano in buone condizioni. Ho visto che hanno recuperato addirittura una bottiglia di vino, magari sono rimaste intatte le nostre latte di olio, oltre alle foto e tante altre cose. Se il Comune ci convoca, noi sappiamo a chi appartengono quelle cose, almeno ci fanno ritrovare qualche oggetto caro».
Oggetti contenuti in decine di bustoni che per mesi sono rimasti accatastati nel cantiere, sotto la polvere e la pioggia. Qualche settimana fa la Procura ha autorizzato la restituzione e a quel punto la palla è passata al Comune. I grossi sacchi sono stati stoccati in un deposito in attesa di perfezionare l’iter per restituire gli oggetti ai legittimi proprietari.
L’ITER «oggetti smarriti» Il dramma delle famiglie è compreso e comprensibile, ma il Comune non può fare altro che seguire la procedura prevista dalla legge, per la precisione dall’articolo 927 del Codice civile. Tutti gli oggetti, infatti, sono stati consegnati al Comune perché chi li ha trovati sotto le macerie non poteva conoscerne la proprietà. Quindi Palazzo di Città dovrà individuare una ditta che proceda all’inventario. L’elenco sarà poi pubblicato sull’albo pretorio del Comune e solo allora se ne potrà rivendicare la proprietà. La norma prevede che tale diritto debba essere «provato», per esempio con un atto di acquisto o con una fotografia che dimostri che quell’oggetto è riconducibile alla persona che dice di esserne proprietaria, o ancora tramite la testimonianza di più persone. In questo caso, dopo l’inventario, è possibile che il Comune proceda ad una pubblica esposizione degli oggetti, alla quale potranno presentarsi gli ex inquilini della palazzina crollata per recuperare ognuno le proprie cose. La procedura non sarà brevissima e si stima che possa concludersi entro l’anno. Una vecchia foto di famiglia «salvata» dalle macerie, potrebbe finire sotto l’albero di Natale.
L’INDAGINE SUL CROLLO Intanto la Procura sta definendo i prossimi passi dell’inchiesta. Nelle scorse settimane si è conclusa la consulenza tecnica affidata dal procuratore aggiunto di Bari Ciro Angelillis e dalla pm Silvia Curione, che coordinano l’indagine per crollo colposo, all’ingegnere Antonello Salvatori, docente di scienze delle costruzioni, esperto in crolli e nominato anche nelle indagini post terremoti di L’Aquila e Amatrice. La sua relazione, che sarà depositata a giorni, fornirà ai magistrati gli elementi necessari ad ipotizzare le eventuali responsabilità: di chi ha eseguito la messa in sicurezza con i puntelli nel vano interrato dove erano stati rilevati i pilastri ammalorati un anno prima che il palazzo crollasse, oppure chi solo qualche giorno prima dell’implosione aveva iniziato i lavori di ristrutturazione e consolidamento.