Rischia una condanna a 24 anni di reclusione il 38enne Andrea de Giglio, accusato di aver materialmente sparato gli otto colpi della calibro 9 che l’11 settembre 2019, nel quartiere San Pio, uccisero il pregiudicato 39enne Michele Ranieri. È la richiesta avanzata dal pm della Dda di Bari Marco D’Agostino nel processo in corso dinanzi alla Corte di Assise.
Nei giorni scorsi sono state confermate in appello le condanne di primo grado a 24 anni di reclusione per i due co-imputati accusati di omicidio volontario aggravato dal metodo mafioso (Saverio Carchedi e Giovanni Sgaramella) e quella per «concorso anomalo» alla pena di 14 anni e 8 mesi di reclusione nei confronti di Saverio Faccilongo, referente del clan Strisciuglio.
Ranieri, ha ricostruito la Dda, sarebbe stato ucciso in una sorta di regolamento interno al gruppo criminale. Sullo sfondo il mercato della droga, ma anche gli equilibri di forza nel clan, che spesso armano le mani dei killer più del business. L’esecuzione, di fatto, era stata documentata in tempo reale, perché nel telefono della vittima era stato installato un trojan nell’ambito di un’altra inchiesta. Proprio da un cellulare, peraltro, sarebbe partita la sua condanna a morte. Secondo l’accusa a ordinare il delitto era stato Faccilongo, all’epoca detenuto ma che avrebbe continuato a governare saldamente gli affari del clan. In realtà, dal processo è emerso che non sarebbe giunto alcun ordine di uccidere e che i presunti sicari avrebbero interpretato a modo loro l’indicazione di «dare una lezione» nel quartiere nel caso in cui qualcuno avesse voluto fare di testa sua nell’ambito della gestione delle attività illecite.
I sicari, prima Sgaramella e poi de Giglio - hanno rivelato i «pentiti» - si sarebbero passati l’arma, facendo fuoco a turno. Il colpo di grazia lo avrebbe dato proprio de Giglio: prima quattro proiettili, a bruciapelo, e poi, dopo aver inseguito con una moto la vittima che tentava di fuggire e salvarsi, sparandone altri quattro e ammazzandola, non prima di aver pronunciato la frase: «Portaglielo il messaggio all’amico tuo». Quella morte, cioè, era un avvertimento, un «segnale forte» di prepotenza nella lotta in corso interna al clan tra il gruppo capeggiato da Faccilongo e il boss Carlo Alberto Baresi. Carchedi avrebbe avuto il compito di portare ai killer il messaggio impartito dal boss dal carcere. Ai suoi Faccilongo - hanno rivelato le indagini dei carabinieri - avrebbe manifestato l’intenzione «di farlo piangere», riferito a Baresi, «di sfondare il ragazzo suo, di dare uno spavento». Il 10 settembre il primo regolamento di conti, con un pestaggio, davanti alla spiaggia di Pane e Pomodoro, al nipote di Baresi. Il giorno dopo, poi, questo clima di violenza sarebbe sfociato nell’omicidio di Ranieri. Sullo sfondo dell’agguato mafioso, quindi, ci sarebbe stata la gestione del mercato della droga, ma soprattutto gli equilibri di forza interni al clan. [isa.mas.]