l’analisi

Bari, il commercio è in crisi: - 4,2% nel 2025. Le famiglie continuano a perdere potere di acquisto e non comprano

rita schena

Raffaella Altamura, Confesercenti: «non solo abbigliamento o beni voluttuari, ora si taglia anche il prodotto alimentare. I prezzi rincarano tra frutta, verdura, pesce»

BARI - I consumi non decollano. Dopo una chiusura di saldi invernali mantenuta sulla sussistenza e non solo in questo ultimo anno, l’inizio della stagione primaverile 2025 non risveglia la propensione agli acquisti. I dati Istat parlano chiaro: nel primo trimestre dell’anno si calcola un -4,2% di volumi di vendite rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e aprile non si è chiuso con una inversione di tendenza. Dati nazionali che sono specchio identico anche sul territorio barese.

stipendi al palo Gli stipendi fermi al palo e che hanno ricevuto forti contraccolpi dall’impennata inflattiva, mettono le famiglie nelle condizioni di perdere una rilevante fetta del loro potere di acquisto. Le incertezze internazionali con il loro bel carico di ansia non predispongono all’acquisto di beni voluttuari.

E il commercio soffre, a malapena sorretto da flussi turistici imponenti sì, ma con viaggiatori che difficilmente comprano qui a Bari scarpe ed abbigliamento rispetto a farlo a casa loro. Chi ha uno stipendio basso a malapena riesce ad arrivare a fine mese, chi ha qualcosa in più evita di spendere, risparmia, magari per poi poter affrontare quella spesa non preventivata, da un guasto all’automobile o una patologia cui far fronte, che comunque azzera il portafoglio.

Un trend negativo generale che non si riesce ad invertire nonostante i molti sforzi.

Segnali Si avvertono piccoli segnali di cambiamento magari legati alla misura «D_Bari», che incentiva ad una visione più sociale del commercio di prossimità, ma serve sicuramente di più a partire dagli stessi protagonisti, quei commercianti che non possono più limitarsi a star dentro il negozio sperando che qualcuno entri a comprare. «I cali negli acquisti si stanno allargando come tipologie di prodotti interessati – conferma Raffaella Altamura presidente di Confesercenti Bari -. Prima era tutto il no food, ora incide anche nei prodotti alimentari. Frutta, verdura, non parliamo del pesce, i prezzi sono schizzati e le famiglie non ce la fanno. Abbiamo periodicamente i report dei nostri Centri studi di categoria che continuano a ripeterlo: il calo degli acquisti continua inesorabile a livello nazionale e locale. Anche se Bari conta migliaia di turisti la situazione non è molto diversa dei piccoli centri dove turisti non ce ne sono. I consumi sono ridotto al lumicino».

Negozi di prossimità Perché alla fine l’ossatura portante sono i residenti. Sono le famiglie che comprano dai negozi di prossimità, che sorreggono l’economia locale, ma se questo non è più possibile ecco che il sistema si accartoccia su se stesso.

«Quello che oggi osserviamo è che il negozio riesce a tenere se avvia dei cambiamenti strategici – spiega la Altamura -, se unisce servizi, avvia collaborazioni. Il bar che è anche libreria, il negozio di generi alimentari che vende piatti pronti e li consegna a domicilio. Tutte quelle ibridazioni che consentono al residente di trovare una risposta ai suoi bisogni nella desertificazione dei servizi che dilaga sempre più tra i quartieri».

«Un negozio non è solo un negozio» Una tendenza che si registra da qualche anno e che può anche contare sul supporto di una misura come «Un negozio non è solo un negozio» dove, a fronte di un sostegno economico, il Comune incentiva la creazione di una comunità di quartiere tutto attorno ai piccoli esercizi commerciali.

«Una misura che ad esempio sta sorreggendo i commercianti più giovani che vogliono aprirsi alla digitalizzazione – conferma la presidente di Confesercenti Bari -. Bene questi bandi che incentivano nuove strategie di vendita, anche nell’ottica dell’inclusione sociale. Dalla pizzeria con il menù in Braille, al coinvolgimento di ragazzi autistici o down come camerieri o altro, lavorare sul senso di comunità è uno di quegli elementi che sicuramente fa bene al commercio di prossimità».

Negozi storici «Quello che vorrei è lanciare un mio suggerimento: bisognerebbe trovare una misura di sostegno specifica per i negozi storici. Quelli che rappresentano un bene culturale per la città, uno spaccato di come eravamo e che non dobbiamo correre il rischio di perdere. Servono sostegni ad hoc per facilitare il ricambio generazionale, per accompagnarli al cambiamento, per evitare che chiudano come è accaduto per tanti».

Alla fine quando chiude un negozio non perde solo il commerciante, ma anche il cittadino. È una luce che si spegne in strada, è una chiacchiera per chi si sente solo, è la soluzione ad un problema che nessun altro riesce a risolvere. E’ quella comunità che c’era, valore aggiunto immateriale incommensurabile.

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