L'intervista
Ciccio Caputo ricorda Martimucci: «Con il 10 di Domi sulle spalle anche lui ha segnato con me»
Tre giorni fa altri due arresti per l'omicidio avvenuto 10 anni fa
BARI - «Ogni tanto scorro le foto sul cellulare e mi emoziono ancora guardando quella in cui Domenico ed io siamo avversari su un campo di calcio. Fa ancora tanto male». Ciccio Caputo ha da poco appeso gli scarpini al chiodo. Domenico Martimucci, è ancora nel suo cuore. Hanno iniziato entrambi la carriera ad Altamura, la città in cui sono nati. Uno è diventato professionista giocando in serie A, l’altro militava in Eccellenza, lo chiamavano «Il piccolo Zidane» per come si muoveva in campo. La sua maglia era la numero 10.
5 marzo 2015. Da poco è passata la mezzanotte. Ottocento grammi di tritolo vengono posizionati fuori da una sala giochi per riaffermare il predominio del clan Dambrosio sul territorio. Teatro dell’attentato il Green Table di Altamura. Quella bomba doveva dare un segnale e invece uccide il calciatore 27enne Domenico Martimucci, estraneo a qualsiasi contesto criminale. In sei restano feriti. Tre giorni fa, a distanza di dieci anni, dopo che mandante ed esecutori materiali da tempo ormai scontano condanne definitive, la giustizia è arrivata anche per gli ultimi due presunti complici: arrestati colui che avrebbe coordinato le fasi esecutive dell’attentato, e colui che mesi prima avrebbe fornito l’esplosivo.
«La notizia della esplosione si diffuse molto rapidamente», ricorda oggi Caputo. «Ogni minuto che passava diventava più drammatica. Conoscevo anche chi rimase ferito. Uscivamo spesso insieme da ragazzi. Quando si apprese che Domenico era in condizioni gravissime non volevo crederci. Il suo ricordo così dolce è ancora vivo».
Caputo, che da calciatore vanta anche due presenze in Nazionale («segnando un gol alla Moldavia», ricorda con orgoglio) ha indossato, tra le altre, le maglie di Bari, Empoli, Sampdoria e Sassuolo. Compatibilmente con il suo lavoro di professionista in giro per l’Italia, appena possibile tornava nella sua Altamura per salutare Domi in quei giorni drammatici in cui il suo amico giocava la partita per la vita. «Sono andato a trovarlo tante volte in ospedale durante i terribili mesi della sua agonia. Ho cercato di non far mancare il mio affetto e di stare vicino alla sua splendida famiglia, conosco bene sua sorella», Lea Martimucci che, al termine della conferenza stampa sugli ultimi arresti, ha abbracciato il procuratore della Repubblica di Bari Roberto Rossi.
Caputo ricorda il Martimucci uomo e calciatore. «Un ragazzo pulito che amava la vita e adorava la sua famiglia. In campo era un centrocampista dai piedi buoni, dotato fisicamente e con un gran bel tiro da fuori area. Era più piccolo di me di un anno, ricordo ancora i nostri primi passi nel mondo del calcio, i tornei estivi, la passione pura, il divertimento. Giocavamo nell’Altamura, lui ad illuminare il centrocampo e io a far gol. Avrebbe meritato di raggiungere categorie superiori rispetto a quelle in cui ha militato».
Tra i tanti aneddoti, Caputo è legato a uno in particolare. «Ero appena arrivato al Bari, un sogno. Ci fu una amichevole proprio contro l’Altamura. Conoscevo tutti i miei avversari, sino a poco tempo prima miei compagni di squadra. Troppo divertente incrociare sul campo Domenico… Mi vengono ancora i brividi pensando che non c’è più». La foto che ogni tanto Caputo guarda sul cellulare è stata scattata proprio quel giorno rimasto nel cuore allora, figurarsi oggi. Una carriera, quella del bomber altamurano, in cui Domenico ha sempre avuto un posto speciale, influenzando la scelta del numero di maglia. «Il 10, notoriamente è ambitissimo», spiega Caputo. Dopo l’attentato in cui Domenico ha perso la vita ho inseguito più volte quella maglia, senza successo. Una gioia immensa essere riuscito a indossarla proprio con la Sampdoria: una divisa bellissima quella blucerchiata, per non parlare dello storico gemellaggio tra i tifosi liguri e quelli del Bari. Ricordo ancora quando chiesi: “La 10 è libera?”. Alla risposta “Sì, non l’ha chiesta nessuno”, non me lo sono fatto ripetere due volte. I gol di quella stagione avevano un sapore particolare: a coprirmi le spalle c’era Domenico. Anche lui ha segnato con me».