«Non sono più contento. Sono troppi i punti persi. Partite come questa di Cesena devi vincerle. Adesso tutti devono assumersi le proprie responsabilità». Moreno Longo punta dritto l’indice contro la squadra. Dopo essersi assunto l’onere del pareggio beffa al «Manuzzi», l’allenatore mette il gruppo sul banco degli imputati. Non tanto sotto l’aspetto tecnico, quanto su quello caratteriale accompagnato - a suo dire - dalla poca qualità soprattutto degli uomini più rappresentativi. La solita sabbia gettata negli occhi. L’ennesimo pareggio del Bari, il dodicesimo in ventitré partite, ormai non fa più notizia. Come diventa indigesto e stucchevole il refrain della radicale incapacità della squadra di capitalizzare il vantaggio. A Cesena, con l’aggravante dell’uomo in più per tre quarti di gara dopo l’espulsione del cesenate Calò. Altri due punti lasciati colpevolmente per strada. La nona rimonta in sette partite indica una patologia cronicizzata di un gruppo con delle manifeste lacune nella tenuta della gara alla distanza e nelle scelte tattiche. Anche al «Manuzzi», il possesso palla evidente, a tratti eccessivo (66 per cento contro il 34 dei padroni di casa), risulta maldestramente improduttivo. Da teorico pregio, per assurdo, si connota come un difetto di fabbrica. Nonostante ad una discreta competenza di palleggio ed un calcio tutto forma e poca sostanza per la formazione di un Moreno Longo crucciato. Il mister si presenta in sala stampa rilasciando un’analisi severissima.
«Mi dispiace commentare questa partita - la severa stoccata a caldo del tecnico biancorosso - perché se no sembra di essere stupidi nel ripetere sempre le stesse cose. Dobbiamo cercare di farglielo capire diversamente», puntualizza riferendosi ai suoi calciatori. «Mi prendo la responsabilità di questo pareggio. Ma quando si ripete l’errore di non fare il 2-0 concedendo l’episodio all’avversario non va bene. È arrivato il momento che ognuno si prenda le sue responsabilità. Non abbiamo mai puntato l’uomo, né tantomeno calciato in porta con la cattiveria di portare a casa la vittoria».
Su queste premesse, la strada verso i playoff si farà in salita: «Non deve crearsi l’equivoco della mancata voglia e volontà dei ragazzi - mitiga Longo -. Alla fine, ce la siamo giocata. Siamo venuti a fare la partita. Ma ci manca uno step. Quello di portarcela a casa, anche soffrendo. Il rammarico arriva proprio da questo. Ma non basta più dire che giochiamo bene. Devi vincere, chiudere il match quando puoi. Serve osare negli ultimi venticinque metri». Calciatori senza personalità non fanno il bene del Bari. Elementi senza la testa giusta sembrano decontestualizzati. Longo castiga: «C’è un problema mentale. Ogni volta manca un pezzettino. Negli ultimi venticinque metri, ci manca lo spunto. Fatto di atteggiamento, rischi. E qualità. In questo abbiamo pochi giocatori capaci di giocate. Non ci sono giocatori in grado di superare l’uomo uno contro uno. Ma da alcuni, tipo Dorval e Falletti, mi aspetto che lo facciano».
La soluzione nei margini di miglioramento. Magari ricorrendo al mercato: «Io posso insistere lavorando sulla testa dei ragazzi. Devo entrarci. Forse sinora non sono stato abbastanza convincente. Ma è anche questione di caratteristiche. Nel Cesena entra Kargbo. Vince l’uno contro uno e crea l’episodio per pareggiare. Questo ci manca. Andare alla ricerca del gol con un impeto diverso. In superiorità numerica non l’ho visto. In particolare, nei momenti topici della partita».
«Il calcio di rigore - aggiunge - è stato causato da un fallo di Obaretin su La Gumina - . Non mi è piaciuta la gestione. La palla andava mossa con pazienza. Però bisognava forzare per cercare il secondo gol. Cercato poco, nonostante un buon palleggio. Poi, non siamo fortunati. Appena gli altri affondano, ci colpiscono. Questo rammarico dà fastidio». Due parole su Sibilli. Irriconoscibile: «Deve ritrovare la serenità e la sicurezza in quello che sa fare ed è nelle sue qualità. Lo vediamo fare buone cose a sprazzi. Il suo potenziale quest’anno non si è visto. Quello che l’anno scorso ha fatto la differenza».